Case popolari pure ai ricchi, dagli elenchi di Palermo via i 500 furbi
Attendere per decenni una casa popolare ed entrarci all’improvviso in poche ore. La chiamata del Comune, la convocazione nella strada dove al futuro alloggio è stata già cambiata la serratura e vedersi consegnare chiavi e appartamento. Nello stesso lasso di tempo, se l’immobile stava per essere occupato, le famiglie di abusivi si erano sentite bussare alla porta da polizia municipale, carabinieri e dall’assessore Fabrizio Ferrandelli: sgombero e trasloco immediati, senza ma e senza se. Chi esce con tv e vettovaglie e chi entra con mobili e sospiro di sollievo, tutto in una mezza mattinata. Nell’elenco, «arrugginito» dalla mancanza di aggiornamenti c’erano ufficialmente 3.000 nuclei familiari in attesa di casa popolare. Tra gli altri 2.600 c’è chi ha trovato altre soluzioni o un lavoro o è emigrato. Ma circa 500 non avevano mai avuto realmente diritto a stare in quell’elenco. È bastato cambiare passo e modalità alla presentazione delle istanze, per giungere in automatico all’imponente scrematura. Come? Intanto è stata eliminata totalmente la lavorazione di pratiche e graduatorie cartacee dove spesso venivano ritoccate ad arte la voce relativa all’Isee e la posizione del beneficiario in graduatoria. Ora c’è un database che incrocia i dati dell’Anagrafe con quelli del patrimonio. Tra le istanze cancellate dopo i controlli, quella di un uomo che chiedeva abitazione in città, ma era poi risultato proprietario di ben 12 immobili in un comune dell’hinterland. O un altro falso indigente che aveva taroccato la dichiarazione dei redditi: in realtà, era benestante. Oggi in quella stessa lista, riveduta e corretta, di aventi diritto a un alloggio a canone simbolico ne restano appena 340. Nei primi tre mesi dell’anno sono state assegnate 24 case: 20 dello Iacp, una del Comune e 3 dall’agenzia dei Beni confiscati. Lo scorso anno hanno trovato un tetto in sessanta. Il trend dell’ultimo decennio era stato di 10, 12 alloggi assegnati all’anno. Nel team che ha materialmente svolto le consegne e gli sgomberi ci sono lo stesso Fabrizio Ferrandelli, personale dei suoi uffici, due vigili urbani e spesso in supporto arrivano anche le forze dell’ordine. Le abitazioni liberate e riaffittate a vita con un canone di 56 euro mensili si trovavano a Borgo Nuovo, Cep, Ballarò, Sperone, Zen e Porta di Castro (via Placido Viola). Quartieri dove predominano marginalità sociale e illegalità: e la «compravendita» degli alloggi popolari, quando il conduttore muore o si trasferisce altrove, è diventato un vero business. «Ci sono famiglie che pagano dai 5 ai 10 mila euro - spiega Ferrandelli - per subentrare nel contratto, senza averne ovviamente diritto. La casa spetta a chi è in graduatoria, non al parente o all’amico di chi non c’è più». Invece, prima dell’avvio della digitalizzazione delle istanze e della recente piattaforma che avvisa con un alert l’amministrazione e lo Iacp del decesso di un assegnatario e la contestuale disponibilità dell’appartamento, era così che funzionava: moriva la nonna e i figli o i nipoti, che non avevano abitato nella stessa casa fino a quel momento (unico caso in cui il contratto persiste), si trasferivano tout court con al seguito bambini e portatori di handicap. Frittata fatta e tanti saluti allo sgombero che non avveniva mai. Oggi si può prevenire l’occupazione abusiva. «Bisogna avere strumenti operativi che eliminino le zone grigie e che facciano dei disagi sociali una legalità, al posto di chi se ne approfittava attraverso compravendite illecite - conclude l’assessore -. Invitiamo tutti i cittadini alla collaborazione, perché questa resti la strada maestra».