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Il figlio di Andreotti risponde a Rita Dalla Chiesa: «Accusare mio padre è uno schiaffo alla sua memoria»

Stefano Andreotti ricorda che le sentenze hanno escluso un coinvolgimento del sette volte presidente del Consiglio. «Stimava il generale»

Stefano Andreotti

«Accusare mio padre di un suo possibile coinvolgimento in un omicidio o di avere rapporti con la mafia è uno schiaffo alla sua memoria e alla sua storia». Il figlio del 7 volte presidente del Consiglio Giulio Andreotti, Stefano, si dice «addolorato per le parole» di Rita Dalla Chiesa su un possibile coinvolgimento dello statista Dc nell’uccisione del generale Carlo Alberto dalla Chiesa. «Le sentenze di Palermo e di Perugia hanno smentito» ogni ipotesi in questo senso, sottolinea Stefano Andreotti che ricorda come invece tra suo padre e il generale «ci fosse un rapporto di grande stima reciproca».

«Ogni tanto la figlia dice queste cose. Non so perché, ma non è una novità. Da parte della famiglia già negli anni 80 il figlio aveva avuto delle posizioni che avevano molto indispettito mio padre e ci furono anche articoli sui giornali che parlarono di questo. Poi la figlia aveva già tirato fuori questa cosa. Capisco umanamente che quando ti uccidono in modo così crudele un genitore è qualcosa che ti colpisce per sempre in maniera indelebile. Ma le sue accuse sono cose basate sul nulla», spiega Stefano Andreotti raggiunto telefonicamente dall’Ansa.

«E questo mi dà dolore - prosegue - perché vuol dire che non sono bastati i tanti anni trascorsi, né i processi ai quali è stato sottoposto, né le audizioni nelle quali ha spiegato più volte la verità dei fatti». «Perché continuano a tirare fuori questa storia? Perché credo che questo rientri in quello che è accaduto negli anni 90, cioè nella demonizzazione della politica di allora - risponde il figlio del politico - cercarono di colpire mio padre con la questione della mafia e di Pecorelli e gli altri con la questione della corruzione». Ma ci sono anche le «sentenze che parlano. Uno può anche dire che le sentenze lasciano il tempo che trovano, ma in quelle di Palermo e di Perugia è stato escluso in modo categorico che mio padre abbia avuto compromissioni con la morte del generale Dalla Chiesa». Un uomo, ricorda Stefano Andreotti, «che aveva con mio padre «un rapporto di grandissima stima. Una stima che sottolineo era reciproca». Il generale Dalla Chiesa, continua, «guidò il nucleo antiterrorismo che seguì anche il caso Moro e che segnò l’inizio della riscossa dello Stato italiano contro le BR».

«E quando mio padre lasciò Palazzo Chigi, raccomandò a Cossiga di far seguire il nucleo sempre a Dalla Chiesa che infatti rimase» in quell’incarico. E «mio padre, che in quegli anni non era al governo - racconta ancora Stefano Andreotti - scrisse una lettera a metà settembre del 1979 a Dalla Chiesa per ringraziarlo di essere rimasto al suo posto. E lui rispose ringraziandolo per la lettera ricevuta».

«Anche da fatti come questi - afferma - ci si può rendere conto di quale fosse il rapporto del generale con mio padre». «Spesso - ricorda ancora - Dalla Chiesa andava a trovare mio padre e in uno di questi incontri nel suo ufficio, il generale si trattenne a lungo con lui. Quando poi uscì - ad aspettare mio padre c’era anche Luigi Bisignani - lui ci disse: “Pensate che una persona come lui si è messa a piangere confidandomi che aveva rapporti molto tesi con il figlio che aveva preso una china non proprio condivisa da lui visto che all’epoca era diventato un extraparlamentare di sinistra, quindi lontano anni luce dal padre”».

«La famiglia ora può fare quello che vuole - aggiunge Stefano Andreotti riferendosi sempre a quanto detto da Rita Dalla Chiesa - che dobbiamo fare? Ma deve riconoscere anche queste cose qui».
«Comunque pensare anche solo lontanamente che mio padre potesse essere implicato in qualche omicidio, in qualche rapporto con la mafia, per chi lo conosceva, è uno schiaffo alla sua memoria, alla sua storia», aggiunge il figlio di Andreotti.

«In più di un’occasione ha parlato anche con noi familiari di questo e abbiamo ritrovato anche sue frasi scritte. E ha sempre sostenuto la sua totale estraneità a questi fatti. In più - conclude - mio padre era un credente e ha giurato davanti a Dio che lui non c’entrava. E per un credente come lui un giuramento è sacro».

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