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Palermo, la sfida del Comune ai familiari del boss Algeri: «Rassegnatevi, non comandate voi»

Dopo la fuga dalla casa confiscata di quattro famiglie, l'ultima delle quali costretta a sloggiare dal lancio di una bomba molotov, lo Stato risponde con il pugno duro

Solo trenta passi dividono l’immobile confiscato alla mafia, in via Decollati, a Palermo, proprio di fronte alla stazione Oreto dei carabinieri e alla missione Speranza e Carità fondata da Biagio Conte, dalle abitazioni di parenti e persone vicine al boss Leonardo Algeri, al quale lo Stato aveva sottratto il bene, poi assegnato al Comune. In appena due giorni quattro famiglie, una dopo l’altra, sono state costrette a rinunciare all’assegnazione sotto pesanti intimidazioni. Una sfida alla quale lo Stato sta rispondendo col pugno duro. Un presidio permanente di polizia, carabinieri e guarda di finanza staziona da alcune ore davanti al vicolo su disposizione del Comitato per l’ordine e la sicurezza riunito dal prefetto, Massimo Mariani, subito dopo gli episodi di violenza denunciati dall’assessore comunale Fabrizio Ferrandelli.

Una dietro l’altra, le famiglie hanno dovuto abbandonare il sogno di avere finalmente una casa. Minacce sussurrate all’orecchio o urlate in faccia agli assegnatari li hanno indotti a desistere. L’ultima famiglia ha cercato di resistere: nonostante le intimidazioni verbali, ha deciso di trascorrere la notte nell’abitazione, ma è stata costretta a fuggire di gran corsa dopo il lancio di una molotov e di diversi petardi contro il balcone. A nulla è servita la mediazione di un parroco di frontiera che ha cercato di mettere fine a questa continua serie di minacce.

«Gli Algeri si rassegnino, non comandate voi - reagisce l’assessore Ferrandelli -. Non c’è intimidazione che tenga, l’immobile è del Comune, io ho accettato la consegna e lo assegneremo alle famiglie che ne hanno diritto. Deve essere chiaro». Subito dopo avere fatto fuggire la famiglia in piena notte, qualcuno si è introdotto nella casa, portando via gli infissi, abbattendo due muri e provocando altri danni all’abitazione.

«Stiamo provvedendo a mettere tutto in sicurezza - sottolinea Ferrandelli -. Le maestranze hanno già lavorato sistemando una parte del vicolo, nel giro di poco tempo ripareremo i danni interni, nella zona saranno predisposti un impianto di illuminazione adeguato e un sistema di telecamere. Ho impressa l’immagine dei bambini in lacrime delle famiglie assegnatarie». Un rammarico Ferrandelli ce l’ha. «All’atto della consegna formale il coadiutore ci aveva detto che l’immobile era libero, ma quando mi sono recato nell’abitazione ho constatato che vi abitava la figlia del boss Algeri e con lei in quel momento c’era la madre - racconta l’assessore -. Li ho pregati di lasciare la casa, loro hanno cercato di resistere ma ho spiegato che se non avessero svuotato l’appartamento, avrei chiamato la Rap per fare portare i loro mobili a Bellolampo. Lasciato l’immobile, queste persone hanno reagito con minacce e prepotenza. E non può essere consentito».

I parlamentari di FdI Carolina Varchi e Raoul Russo hanno segnalato la vicenda alla Commissione nazionale Antimafia. «È cruciale che vengano adottate tutte le misure necessarie per prevenire un clima intollerabile per il riuso dei beni confiscati - dicono -. La nostra lotta contro la mafia e la criminalità organizzata è un impegno costante e intransigente. Ogni atto di intimidazione e corruzione sarà contrastato con fermezza e determinazione».

Per l’assessore ai Beni confiscati e legalità del Comune di Palermo, Brigida Alaimo, «ogni passo indietro nella restituzione alla collettività di beni confiscati rappresenta un affronto alla giustizia e alla memoria di chi ha sacrificato la propria vita per contrastare la mafia».

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