Un comitato che si costituirà parte civile nei processi per le vittime del lavoro e sosterrà le famiglie. L’annuncio arriva dalla Fillea Cgil a meno di un mese dalla tragica morte dei cinque operai, Epifanio Alsazia, Giuseppe Miraglia, Roberto Raneri, Ignazio Giordano e Giuseppe La Barbera, nel cantiere fognario di Casteldaccia. La goccia che ha fatto traboccare un vaso già colmo da tempo e ha dato una forte accelerata all’idea che il sindacato stava covando da mesi. Tragedia per la quale Loredana Maniscalco (nella foto), vedova di Giuseppe Miraglia, presente ieri mattina all’assemblea, insieme ad altri familiari delle tante vittime delle morti bianche, chiede «giustizia, solo giustizia», come dice mentre stringe la mano del figlio.
Non ha la forza di ricordare quei momenti e si nega alle telecamere. Ma ai taccuini affida il suo pensiero, breve ma che come una spada va dritto al punto. «Ci tenevamo a coinvolgere le famiglie - ha spiegato il segretario generale Piero Ceraulo - perché i riflettori non possono spegnersi dopo qualche giorno dalle tragedie, ma vanno costruiti percorsi e trovate soluzioni, per dare risposte a coloro che hanno pagato un prezzo troppo alto». L’incontro rilancia ancora una volta la vertenza sicurezza e il sindacato lancia la palla all’amministrazione comunale di Palermo: «Abbiamo chiesto al Comune di sottoscrivere un accordo con le sigle sindacali - dice Ceraulo - proprio per limitare la liberalizzazione dei subappalti, intensificare i controlli e garantire uno standard di sicurezza ai lavoratori».
Tre elementi chiave che se assenti generano «un’anarchia relativamente alle norme e ai limiti - sottolinea Camilla Sartore, rappresentante dello studio legale Bruno, specializzato nei casi di infortuni sul lavoro - purtroppo la necessità di lavoro porta le persone ad accettare salari che vanno contro la dignità ma anche condizioni di lavoro che sono estreme. Il subappalto porta ad una deregolamentazione e ad una minor tutela del capitale umano». Lo studio legale, che ha sede in Veneto, segue la vicenda di Casteldaccia e rappresenta proprio la signora Maniscalco: sulla vicenda per il momento bocche cucite, in attesa dei risultati sulle esalazioni che hanno ucciso gli operai.
Lo sguardo della vedova di Miraglia è duro, anche se tradisce l’immenso dolore che si cela dietro. Lo stesso che non lascia Pino Taormina, papà di un ragazzo morto in un incidente sul lavoro: «Lavorava per una impresa fatiscente - racconta, senza poter andare troppo nei dettagli -, abbiamo avuto giustizia soltanto dopo otto anni, si occupava di pannelli pubblicitari. Lo Stato è assente, non c’è, tutti questi lavori precari, tutti questi subappalti sono la prova che lo Stato fa una doppia, forse tripla faccia: il bello, il brutto e il cattivo». Taormina non riesce a trattenere le lacrime. Che invece Monica Garofalo, vedova di Giovanni Gnoffo, ha trasformato in rabbia. L’operaio è morto lo scorso mese di ottobre morto in un cantiere di via Ugo La Malfa, schiacciato dal braccio meccanico dell’autopompa del cemento che gli è precipitata addosso dopo essersi spezzato. «Quello che mi porta avanti oggi - attacca - è la mia rabbia che monta sempre di più: non sono coraggiosa, non sono forte, non voglio risolvere i torti del mondo, sono solo arrabbiata. Mio marito è andato a lavorare per mantenere i suoi tre figli e non è più tornato». (*DAVIFE*)
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