La firma Meloni-Schifani per i soldi alla Sicilia, il Pd all'attacco: «Un Teatro per mandare in scena una commedia»
«Un Teatro per mandare in scena una commedia». È il commento del segretario regionale del Pd Sicilia, Anthony Barbagallo, all’annuncio dell’evento organizzato al Teatro Massimo di Palermo, che vedrà la premier Giorgia Meloni ed il presidente della Regione Renato Schifani firmare l’accordo per lo sviluppo e la coesione fra il governo nazionale e quello regionale. «La firma dell’accordo che sancisce quali progetti sono finanziati con il Fondo di coesione . afferma Barbagallo - è un atto dovuto, in forza della legge 162/2023. Nessun merito quindi a Schifani sulla messa in campo delle risorse che sono destinate per legge alla Sicilia e che anzi hanno subito lo scippo nazionale di quasi 3 miliardi, di cui 1,3 miliardi per un Ponte che gli stessi uffici ministeriali qualificano quale opera non sostenibile ed 800 milioni per i termovalorizzatori imposti ai territori. Una beffa che hanno deciso di mettere in scena a Teatro, anziché negli uffici di Palazzo d’Orleans, come dovrebbe essere per la firma di un accordo bilaterale tra Stato e Regione. Forse perché in tempi elettorali fa comodo avere un folto pubblico. Pubblico che invero non è stato coinvolto in nessuna delle fasi di costruzione dell’accordo, visto che non vi è stata nessuna preventiva concertazione né dentro il Parlamento siciliano, né con le parti sociali. Praticamente, se la cantano e se la suonano». «La dotazione del Fsc – afferma Cleo Li Calzi, responsabile del dipartimento Pnrr del Pd Sicilia - serve alla Sicilia, e ai siciliani, per recuperare lo svantaggio competitivo nei confronti del resto d’Italia. È stabilita proprio in ragione della dimensione dei divari e quindi dell’arretratezza dell’economia siciliana nel confronto con le altre realtà nazionali ed è stata fissata in 6,86 miliardi. Un’importante dotazione che rappresenta il 21% dell’intera dotazione nazionale proprio in ragione della dimensione dei divari e quindi dell’arretratezza dell’economia siciliana nel confronto con le altre realtà nazionali. Non certo per merito, ma appunto per la gravità degli indicatori di sottosviluppo. Quello che si legge nelle carte è - prosegue - l’assoluta mancanza di un’idea di sviluppo, visto che il lungo elenco di interventi - a meno di quelli “prenotati” da Roma – nasce dalla sommatoria di progetti "caricati" dagli uffici della Programmazione dentro la piattaforma, che mette insieme gli interventi fuoriusciti dalle precedenti programmazioni e quelli che non sono stati realizzati nei tempi previsti dai programmi comunitari, o quelli che da anni vengono ribaltati di programmazione in programmazione. Il governo regionale ha solo “apprezzato” le liste di progetti preparate dagli uffici. Non vi è in alcuno di questi passaggi la valutazione di quale impatto reale sullo sviluppo e sulla crescita. E in ultimo, va sottolineato che - conclude - la Sicilia è rimasta la penultima regione a firmare questo accordo avendo appunto ritardato anche nel caricamento dei progetti in piattaforma». «Il presidente Schifani - dice invece Michele Catanzaro, capogruppo del Pd all’Ars - dovrebbe ricordare che era stato stabilito che la presentazione degli interventi da finanziare con il Fondo per lo sviluppo e la coesione si sarebbe dovuta fare all'Assemblea regionale siciliana, di fronte alle forze parlamentari. Invece sono stati traditi gli accordi e si sta organizzando una manifestazione elettorale a spese dei cittadini, in pieno “stile Wanna Marchi”». Catanzaro aggiunge che si tratta di «una lunga serie di opere e finanziamenti per diversi miliardi di euro che, guarda caso, verrà presentata a meno di due settimane dal voto per le Europee. Proprio per questo ci rivolgiamo al presidente Schifani: non si renda complice di chi pensa che pur di avere un voto in più si possa tradire tutto e tutto, e chieda di rinviare la presentazione Fsc a dopo il voto per le Europee rispettando l’impegno di poterlo fare all'Ars. In questo modo Schifani dimostrerebbe che si tratta davvro di un'azione istituzionale e che lui non si presta a fare la spalla di Giorgia Meloni in una televendita elettorale».