Gli estortori ora si pagano con la fattura, l'allarme della commissione antimafia a Palermo: «C'è un calo di tensione»
Pagare meno ma pagare tutti. E con la fattura. L’attività estorsiva continua ad essere il tratto fondamentale che garantisce ricchezza e presenza sul territorio alle mafie, capaci di infiltrarsi sempre di più nell’economia legale e in grado di stringere alleanze per competere con le organizzazioni criminali straniere. Scenari che emergono dalla mappatura della commissione regionale Antimafia in Sicilia, presieduta da Antonello Cracolici, presentata questa mattina (14 marzo) nella sala stampa dell’Ars, che ha ricostruito lo stato attuale di cosa nostra e che in questi mesi ha introdotto un elemento di novità nelle sue audizioni nelle province della regione, offrendo un momento di ascolto e interlocuzione anche con 302 amministratori locali dei 391 comuni dell’Isola, «una grande novità», come ha spiegato il presidente della Commissione Antonello Cracolici. La Mappatura evidenzia che alla recrudescenza del fenomeno estorsivo sia connessa una minore capacità del sistema imprenditoriale siciliano di reagire, «sia in termini di denunce che in termini di reazione - spiega Cracolici - con numerosi casi in cui, al contrario, è l'imprenditore o il commerciante a cercare, di sua sponte, la protezione dei clan per la cosiddetta “messa a posto”, o di essere». Una connivenza che si affonda la sua lama in un preoccupante sfilacciamento del tessuto sociale, vittima di una caduta della tensione che si è tradotta in un sentimento di indifferenza, dove si inseriscono nuove forme di raccolta del pizzo attraverso le forniture e i servizi, con gli stessi estortori che emettono fattura per le loro attività nei confronti degli estorti. Cosa nostra esercita il suo controllo nel territorio attraverso zone di influenza tramite clan che assumono il comando di intere zone o quartieri. Questo modello, seppur con elementi di differenza tra le singole province, è una caratteristica di tutto il territorio siciliano. A ciò si aggiunge la compresenza, in alcune province, oltre che dei clan legati a cosa nostra, della Stidda, con un controllo pressoché totale di tutta la Sicilia. Ma a differenza degli anni ‘80 e ‘90 a caratterizzare le nuove forme di criminalità è una diffusa ‘pax mafiosa’ con un basso livello di conflittualità interna. Il tessuto connettivo è il traffico di stupefacenti, con ingenti risorse immesse anche nel sistema legale e un controllo sociale che segue le logiche di spartizione delle piazze di spaccio. «Oggi le varie droghe - prosegue Cracolici - disponibili a prezzi di accesso sempre più bassi, si stanno diffondendo a macchia d’olio in tutta la regione. Fenomeni sconosciuti fino a qualche anno fa, come il crack, per il loro basso costo hanno conquistato nuove fette di mercato, soprattutto tra i giovanissimi di classi sociali trasversali». Con una peculiarità: mentre l’organizzazione mafiosa controlla l’approvvigionamento delle grandi quantità, il mercato della trasformazione degli stupefacenti è affidato il più delle volte a gruppi familiari che, pur non essendo parte delle stesse organizzazioni mafiose, gestiscono la distribuzione al dettaglio. Unica vera fonte di reddito per quartieri segnati dal degrado. Contestualmente, proseguono le infiltrazioni nell’economia legale attraverso azioni parassitarie, limitando la concorrenza degli altri imprenditori che non possono competere con ingenti flussi di capitale illecito. Ciò accade soprattutto nei territori con una propensione imprenditoriale più spiccata come il Trapanese, Catanese, Palermitano, Ragusano e Siracusano. «C’è una mafia che assume caratteristiche imprenditoriali sempre più estese nei diversi settori dell’economia più redditizia - sottolinea Antonello Cracolici - dal settore energetico a quello dei rifiuti, dal turismo a tutte le attività connesse alla gestione del tempo libero. Per quanto riguarda, ad esempio, il tema degli appalti e l'affidamento di servizi pubblici - prosegue - è emerso come spesso non serva neanche la connivenza di politici e funzionari, ma è sufficiente la disattenzione di chi dovrebbe vigilare, o una certa confusione normativa, come nel caso dei subappalti, dove sempre più preoccupante appare la caratteristica di servizi affidati a imprese costituite per svolgere singole attività senza che le stesse abbiano una storia imprenditoriale a garanzia della qualità dei lavori e della realizzazione degli stessi».