«Io testimone al processo Salvini su Open Arms? No, Ho preferito un intervento a distanza. Ho offerto una testimonianza scritta, ma non è stata accettata». Lo ha detto Richard Gere ospite del programma «Il cavallo e la torre» di Marco Damilano su Rai3, sul processo a carico dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini. Gere salì sulla nave Open Arms per portare aiuti. «Non è facile - ha spiegato l’attore - arrivare a Palermo. E sono lieto di questo invito (in trasmissione ndr) perché è importate esprimersi su quanto stava accadendo su quella nave». «Avevo sentito - ha ricordato Gere - dell’approvazione di una legge crudele. Avevo sentito della nave che non poteva entrare a Lampedusa. Io mi trovavo da amici in Italia e qualcosa ha attirato la mia attenzione. La legge che prevedeva fosse reato aiutare le persone in mare. Per me era incredibile. Soprattutto per un paese meraviglioso come l’Italia e una popolazione meravigliosa come quella italiana». Le persone che si occupavano di Open Arms, ha continuato, «le avevo incontrati anni prima. Ero rimasto commosso dal loro intervento nel Mediterraneo. Avevano salvato persone in Grecia. Ho quindi deciso di andare via dalla casa dei miei amici e di andare a Lampedusa a portare acqua, alimenti e beni di prima necessità». «Mi sono chiesto veramente se nel caso di Open Arms - ha detto l’attore in tv - le autorità vedessero quelle persone come fratelli e sorelle. La nave era in acque internazionali e facemmo molta fatica a trovare delle imbarcazioni in grado di portarci lì, assieme agli aiuti. L’operatore di una imbarcazione ci disse che aveva ricevuto una visita, la sera prima, da parte della polizia e ci ha detto che non ci avrebbe più potuto aiutare». E poco dopo: «Abbiamo dovuto trovare un’altra imbarcazione. Il conducente mi ha mostrato un video in cui c'ero io con il Dalai Lama. Anche il pilota ha sentito di avere la responsabilità di aiutare i fratelli più deboli tra noi. Molto gentilmente, con grande coraggio, ci ha condotto presso l’Open Arms». Secondo Richard Gere, chi veniva dalla Libia «aveva la speranza di trovare salvezza. Stiamo parlando di salvezza, non di migranti economici. Queste persone rischiano la vita. Sono sottoposte a torture fisiche e mentali, soprattutto le donne che vengono trasformate in schiave del sesso. Arrivato a bordo di Open Arms mi sono reso conto di quanto la situazione fosse seria. La gente stava con delle tende sul ponte della nave. Io ho visto circa 124 persone a bordo, all’addiaccio praticamente». «Ho incontrato volontari provenienti da tutto il mondo che distribuivano farmaci, cibo, acqua - ha raccontato l’attore - . C’erano anche medici ed esperti che davano assistenza psicologica a persone che erano traumatizzate non solo dal naufragio ma anche dalle settimane e dai mesi necessari per arrivare alle sponde del Mediterraneo. Avevano vissuto l’inferno in Libia, finalmente erano saliti su una carretta del mare e poi sono stati salvati da Open Arms». «L'Italia - ha spiegato l’attore americano - ha dovuto sostenere un peso notevole ed io vi ammiro molto per il lavoro che avete svolto per aiutare le persone che erano alla deriva. Questa è una responsabilità che spetta a tutto il mondo. Mi riferisco a un fenomeno mondiale, non a una problematica italiana: l’Unione europea, l’Onu, devono essere coinvolte, dobbiamo creare le risorse e le strutture per affrontare le migrazioni, soprattutto gli italiani». Sul tema migranti ha poi detto: «Ci saranno sempre i rifugiati, persone che fuggono dalla follia e dalla tortura. Noi dobbiamo prenderci le nostre responsabilità. Soprattutto in paesi più agiati. Penso che gli italiani abbiano svolto un lavoro egregio nell’accoglienza. Ovviamente voi siete molto vicini alla Libia e i rifugiati tendono ad arrivare da voi, a Malta o in Spagna». E quando gli è stato ricordato che i politici in Italia dissero che era un privilegiato in cerca di visibilità, Salvini in particolare che «poteva portare i migranti sul suo areo privato», lui ha replicato così: «Sì, io sono un privilegiato, ma non ho un areo privato. Mi spiace, vivo in una cittadina. Sono molto fiero e orgoglioso di essere in grado di poter aiutare le persone, questa è l’unica ragione per vivere. Non mi aspetto che tutta la popolazione del pianeta agisca come Gesù». Non bisogna «prendersi il mondo sulle spalle, ma siamo tutti abitanti di questo mondo. Senza un senso di comune responsabilità non si va da nessuna parte». Per Gere, «bisogna dimostrare la parte più nobile della nostra anima. Il Mediterraneo si è trasformato in un cimitero ma tutti vediamo che siamo sulla stessa barca. Possiamo creare veramente un punto di non ritorno di amore e compassione. Troveremo il modo di farlo, si può fare». Nella foto Richard Gere sulla Open Arms