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Contrasti sul disavanzo tra Corte dei Conti e Sicilia, sospeso il giudizio

Per Schifani «la sentenza seppur incomprensibile e non condivisibile, è priva di effetti finanziari e infondata sotto il profilo giuridico»

Renato Schifani

Non sono bastate le parole circostanziate in punta di diritto del governatore Renato Schifani, che nella sua arringa nella parte finale dell’adunanza pubblica ha cercato di convincere il collegio delle sezioni riunite di controllo della Corte dei Conti che ha deciso di sospendere il giudizio di parificazione del rendiconto della Regione per il 2021.

Per il secondo anno consecutivo i giudici contabili lasciano nel limbo il consuntivo della Regione siciliana. L’avevano fatto già l’anno scorso col rendiconto del 2020 facendo ricorso di legittimità alla Corte costituzionale sulla questione relativa al disavanzo e per il quale si aspetta ancora la pronuncia della Consulta: questo nonostante la Corte quest’anno abbia riconosciuto progressi, sostanziali, all’amministrazione regionale nella gestione dei conti pubblici rispetto a un anno fa, apprezzando la collaborazione istituzionale.

È passata tra i giudici la linea del pg Maria Aronica che nella sua requisitoria ha sollecitato il collegio a sospendere il giudizio. A pesare sulla decisione ancora una volta la questione relativa al disavanzo: per la Corte la Regione avrebbe dovuto ripianare il deficit sorto nel 2018 e pari a 1 miliardo e 26,1 milioni di euro nei tre esercizi di bilancio successivi, mentre l’allora governo Musumeci, con l’allora assessore all’Economia Gaetano Armao, lo spalmò in dieci anni, forte di un accordo con lo Stato, ma contestato l’anno scorso dai giudici contabili perché firmato solo in seguito.

E, comunque, per i magistrati non risolutivo in quanto l’eventuale procedura doveva essere autorizzata per legge, tuttavia approvata l’anno scorso, e non con un patto amministrativo. Schifani in adunanza ha usato parole nette: «La richiesta del procuratore generale appare del tutto infondata e incoerente con il quadro normativo», ricordando che nelle more della sentenza della Corte costituzionale, il suo governo aveva chiesto e ottenuto dal governo Meloni, sulla scorta dei rilievi della Corte dei Conti, una norma ad hoc approvata dal Parlamento nazionale per la spalmatura del disavanzo in otto anni, evidenziando che la legge primaria implicitamente sovrasta quel patto.

Ma se ciò non bastasse, comunque, il governo è pronto a chiedere la revoca del decreto legislativo finito nel mirino dei magistrati contabili, alla luce della normativa vigente. La sensazione tra i dirigenti regionali che lavorano al dossier sui conti della Regione è che quello della Corte sia un atto dovuto per mantenere la posizione giuridica assunta l’anno scorso, rispedendo così la palla alla Consulta che si deve pronunciare sul disavanzo. Ciò nonostante il governo abbia ribadito oggi la primogenitura implicita della legge sul patto amministrativo contestato dai giudici.

Per Schifani comunque «la sentenza odierna seppur incomprensibile e non condivisibile, è priva di effetti finanziari e infondata sotto il profilo giuridico» ritenendo che «la nuova legge ha superato la norma impugnata dalla Corte. Malgrado ciò - ha precisato - la Regione continuerà a essere impegnata nel percorso già intrapreso, di risanamento della finanza pubblica, tra l’altro oggi ricordato dallo stesso organo di controllo».

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