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Va in pensione il prefetto Cucinotta: «Invito ogni palermitano a vivere con maggiore impegno civile»

«Servono progetti per creare occupazione - dice nell'intervista al Giornale di Sicilia - ed eliminare sacche di disagio sociale, per dare una prospettiva concreta ai giovani»

Maria Teresa Cucinotta

«Negli ultimi anni Palermo è molto cambiata e in meglio, ma il percorso per liberarsi da pesanti incrostazioni e sottosviluppo è ancora lungo. Invito ciascun palermitano a vivere con maggiore impegno civile, a sviluppare il senso di appartenenza alla comunità, a fare scelte, a volte anche coraggiose, in prima persona, a schierarsi». Maria Teresa Cucinotta lascerà martedì Villa Whitaker: undici mesi dopo il suo insediamento andrà in pensione. Ora, nel tracciare il bilancio dell'ultima stagione della sua carriera, non nasconde la soddisfazione di avere chiuso da prefetto della propria città il percorso nell'amministrazione, dove entrò giovanissima, nel 1985. Il 23 maggio del 1992 era il suo primo sabato da funzionario di turno: ricevette lei la chiamata dalla questura, con l’annuncio della strage di Capaci.

«Considero la prefettura di Palermo l’università delle prefetture - dice - per via della complessità della realtà di cui si è chiamati a occuparsi: dalla criminalità organizzata alle emergenze economiche e sociali. Formarsi nel capoluogo siciliano è una fortuna, dà un bagaglio di competenze molto preziose che consentono di affrontare diverse problematiche con puntualità ed efficacia. In città, nel ricoprire il ruolo che fu di Carlo Alberto Dalla Chiesa, con il pesante carico di responsabilità che ciò comporta, ho ricevuto testimonianza di grandissimo affetto ma anche di una grande considerazione per le scelte professionali compiute».

Qui è stato sviluppato il cosiddetto metodo Palermo, un sistema di investigazioni contro la mafia, poi esportato in altre regioni e in altri Paesi. Un avamposto della lotta a Cosa nostra che, dopo le stragi del '92, ha incessantemente dato scacco alle cosche. Qual è, a suo avviso, lo stato di salute della criminalità organizzata?

«Il lavoro di straordinari magistrati e investigatori ha dato risultati importantissimi, consentendo di indebolire notevolmente la mafia, che però, seppur ferita, non rinuncia a provare a riorganizzarsi e a ricostituirsi. I suoi progetti, come dimostrato dalle recenti inchieste sui mandamenti, sono stati stoppati dagli inquirenti, proprio da quell'apparato ormai più che collaudato in decenni di lavoro. Cosa nostra, che probabilmente in Sicilia non riesce a trovare una leadership in grado di gestirla, prova a cambiare pelle e ha oggi una dimensione più imprenditoriale: più affari e meno clamore».

Ma non smette di presidiare il territorio, di imporre il pizzo e gestire affari. A cominciare dagli stupefacenti, emergenza criminale e sociale. Sul fronte delle denunce e della collaborazione da parte delle vittime non sembrano esserci segnali incoraggianti. Che ne pensa?

«Purtroppo le denunce sono ancora poche. C'è ancora una grande reticenza, soprattutto sul fronte delle estorsioni ma anche dell'usura. Lo Stato ha dimostrato di essere presente e di dare risposte tempestive, di garantire l'adeguata protezione a quanti decidono di collaborare. Ecco, quando dico che ciascuno deve dare il proprio contributo per rendere questa città migliore, mi riferisco anche a questo».

Nell'affrontare le questioni criminali, in molti quartieri si sottolinea come la prima emergenza sia quella della mancanza di lavoro, un fenomeno che inevitabilmente gioca a favore della criminalità, alla costante ricerca di manovalanza. Quali strumenti si possono mettere in campo per invertire questa tendenza?

«Tutte le istituzioni sono chiamate a collaborare per sviluppare progetti e iniziative per creare occupazione ma anche per eliminare sacche di degrado e disagio sociale, per dare una prospettiva concreta ai giovani, troppo spesso costretti a lasciare la Sicilia per trovare occupazione altrove. La migrazione dei giovani per mancanza di lavoro è uno dei fenomeni più gravi. Per un cambio di passo ci vogliono azioni concrete, bisogna dare supporto alle famiglie, fare sì che i ragazzi vadano a scuola, che si cominci dallo studio a cambiare mentalità. Bisogna lavorare sul territorio e in questi undici mesi in città il tavolo organizzato in prefettura, al quale hanno preso parte anche la Procura per i minorenni, il Comune, l’Asp e gli uffici scolastici regionale e provinciale, ha portato avanti alcune iniziative».

Il disagio giovanile è grande, non passa settimana senza risse, episodi di violenza e azioni criminali spesso determinati dall'abuso di alcol e droghe. Il consumo di stupefacenti rappresenta una grande emergenza...

«Su questo fronte la repressione non basta ma è certamente un passo fondamentale. Si contano a decine i servizi interforze decisi dal comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica nelle strade della movida. Ma anche su questo fronte occorre un'azione corale delle istituzioni e delle famiglie, che devono dare sostegno ai giovani e proteggerli dai mille pericoli della vita, a cominciare dall'uso di droghe e alcol. Se vogliamo una città migliore dobbiamo partire proprio dell'educazione dei ragazzi, dai valori sani, dall'istruzione. E comprendere quanto sia necessario creare un sistema economico e sociale fatto anche di garanzie occupazionali e di regole, perché il lavoro può costituire per ciascuno non solo una possibilità di riscatto ma anche di affermazione personale nella legalità».

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