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Palermo, l'Amat è senza soldi: il presidente Cimino pronto a dimettersi

L'intesa è lontana e i dipendenti chiedono lo stipendio. Il numero 1 dell'azienda vuole un'intesa complessiva con l'amministrazione

L'assessore Giusto Catania (a sinistra) con il presidente dell'Amat Michele Cimino

Gli stipendi per i dipendenti dell’Amat, l’azienda del trasporto pubblico di Palermo, sono ancora lontani. E la posizione del presidente Michele Cimino appare sempre più in bilico, pronto a rassegnare le dimissioni nelle mani del sindaco Leoluca Orlando se la situazione non evolverà secondo la direzione da lui auspicata: un'intesa a tutto tondo sui problemi che gravano sulla società di trasporto urbano e devono essere superati. Insomma, un momento delicato per le sorti della partecipata che fa muovere tram e autobus in città.

Non sono bastati sit-in, riunioni della cabina di regia, minacce dei sindacati: la fattura da 3,7 milioni di euro non è stata ancora pagata e il presidente Michele Cimino continua a non volere firmare l'addendum al contratto di servizio con cui accetterebbe il taglio di circa il 10 per cento stabilito dal Consiglio comunale con la delibera sul bilancio della fine 2020. Cimino, infatti, non è mai stato d'accordo sulla riduzione unilaterale del corrispettivo, la ritiene (fatta così) un'imposizione inaccettabile. Per questo non ha mai voluto firmare alcuna intesa. Ma ha dovuto accollarsi il taglio, rimodulando le fatture, altrimenti i pagamenti si sarebbero bloccati. A fine 2020 per fare quadrare i conti del bilancio e garantire l'equilibrio, il Consiglio operò un taglio dei trasferimenti alle partecipate per 13 milioni e 657 mila euro.

La questione si è complicata perché la ragioneria pretende anche l'accettazione formale della diminuzione del corrispettivo. Firma che Cimino non vuole mettere. La giudica un atto di sottomissione, mentre – ha detto ai suoi - un contratto di servizio si può modificare sedendosi attorno a un tavolo e decidendo insieme di tutte le criticità che riguardano l'azienda. E cioè, soprattutto, dei contenziosi milionari in corso con Palazzo delle Aquile che riguardano il pagamento della Tosap (su cui molte sentenze sono favorevoli all'azienda, nel senso che non è dovuto) e della Tari da pagare sulle zone blu (anche questa contestatissima). È quello che Cimino ha ribadito ieri nel corso della riunione alla presenza del segretario generale, Antonio Le Donne. Il quale sembra si sia dimostrato disponibile ad avviare questo tipo di percorso. Solo che ormai le chiacchiere stanno a zero. I dipendenti sul conto corrente non hanno ricevuto nemmeno un euro visto che via Roccazzo non ha la liquidità per fare fronte al pagamento delle spettanze e attendeva come manna dal cielo a inizio settembre la liquidazione della fattura. A questo punto, appare difficile a volere essere ottimisti che i salari vengano corrisposti prima della fine della prossima settimana. Ma perché ciò avvenga vuol dire che una qualche soluzione si sarà trovata. Altrimenti, se davvero il presidente getterà la spugna, tutto entrerà in una specie di limbo incerto e farà esplodere molte contraddizioni.

Da mesi la situazione è aggrovigliata su se stessa. Cimino ai suoi ha detto che non è possibile avere un socio che in corso d'opera ti sega il finanziamento promesso senza però compensare la perdita indicando quali servizi eliminare. Ma che il feeling si sia interrotto era già chiaro da tempo. Lo scorso giugno, nel corso di una assemblea, l'assessore alla Mobilità, Giusto Catania, aveva attaccato l'azione della governance, definendola «poco efficace nell'azione di risanamento». Mentre Cimino aveva contestato errori all'ufficio Tributi sul calcolo di alcune imposte. Da Le Donne, comunque, sembrava essere arrivata una sorta di mediazione messa nera su bianco, ma mai attuata. La proposta era questa: stralcio definitivo per la Tosap (viste le sentenze favorevoli all'azienda), il pagamento della Tari/Tarsu con soddisfo integrale da parte di Amat al Comune. Così, però, Amat ha già fatto sapere che intende rinunciare alla gestione delle zone blu perché fortemente antieconomica: 3 milioni di ricavi e 30 di tasse. Su questo, però, l'ufficio Tributi non è d'accordo. L'indicazione da pare loro è di andare avanti perché non è vero che la giurisprudenza sul tema è uniforme.

Qualche giorno fa Orlando ha scritto una nota con cui ha fatto presente che siccome le somme erano attese per inizio settembre la loro mancanza «non consentirebbe il regolare pagamento delle improrogabili scadenze, prime fra tutte quelle della retribuzione del personale, nonché le forniture strategiche ed indispensabili alla continuità dell'esercizio di segnaletica stradale e di trasporto pubblico locale».

I sindacati sono in fibrillazione da giorni. Ieri hanno diffuso una nota con cui si annuncia la messa in campo di «ogni iniziativa possibile a tutela dei dipendenti, che hanno il diritto di essere pagati per il lavoro che svolgono, e dei cittadini che devono essere messi in condizione di avere un servizio di trasporti adeguato». Franco Mineo (Filt Cgil), Salvatore Girgenti (Fit Cisl), Franco Trupia (Uil Trasporti), Corrado Di Maria (Ugl Trasporti), Fabio Danesvalle (Faisa Cisal), Carlo Cataldi (Cobas Trasporti) e Giuseppe Taormina (Orsa Trasporti) hanno anche chiesto un incontro al prefetto evidenziando «i rischi connessi a una possibile limitazione del diritto alla mobilità in una situazione di conclamata pandemia nazionale. Il braccio di ferro tra Comune e Amat – scrivono - aggrava una situazione aziendale già precaria dal punto di vista economico-finanziario, che si ripercuote sul servizio di trasporto pubblico urbano. Se l’amministrazione comunale intende decurtare il 10% del contratto di servizio si assuma la responsabilità di indicare all’Amat quali linee devono essere soppresse».

La consigliera della Lega, Sabrina Figuccia, attacca «l'amministrazione ma anche le parti sociali che hanno fallito», riferendosi alla poca partecipazione al sit-in di dipendenti. Segnale che coglie come la sfiducia dei «lavoratori non si sentono rappresentati da chi è rimasto immobile vedendosi passare sotto gli occhi, e a volte anche in maniera compiacente, la distruzione di quello che doveva essere il fiore all'occhiello di questa città».

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