PALERMO. Guerra all'interno del Movimento 5 Stelle palermitano. Un attacco diretto che arriva da deputati nazionali: Riccardo Nuti, Giulia Di Vita e Claudia Mannino. Che hanno diffuso una nota in cui chiedono le dimissioni dei compagni di partito dell'Ars che hanno confessato il loro coinvolgimento nell'inchiesta sulle cosiddette "firme false" che ieri ha portato alla richiesta di rinvio a giudizio per 14 persone. «Ha ragione Luigi Di Maio - scrivono Nuti, Di Vita e Mannino -, le espulsioni dal Movimento 5stelle conseguono alla condanna in primo grado. Tuttavia, i deputati regionali della Sicilia Claudia La Rocca e Giorgio Ciaccio dovrebbero essere espulsi dal Movimento, in quanto hanno confessato d'aver partecipato alla vicenda delle firme per le ultime comunali di Palermo. Che abbiano assunto il ruolo di accusatori non elimina le responsabilità penali che i due hanno ammesso, apparendo all'opinione pubblica come paladini e dunque estranei». E ancora: «È un'ovvietà, loro sono colpevoli per ammissione, noi ci proclamiamo innocenti, convinti di provare la nostra totale estraneità ai fatti e anche il nostro agire secondo i princìpi del Movimento». «Finora – continuano i tre deputati nazionali – l'attenzione si è concentrata soltanto sulla nostra difesa, sul presupposto, sospinto a modo, che sottoporci a interrogatorio e saggio grafico dopo aver conosciuto le accuse rivolteci fosse indice di colpevolezza e quindi di tradimento dell'etica 5stelle. Abbiamo agito nel nostro diritto e col dovere di tutelarci, collaborando con la magistratura cui abbiamo fornito elementi concreti che smontano le accuse di La Rocca e Ciaccio, i quali autosospendendosi hanno evitato provvedimenti disciplinari del Movimento». «La nostra sospensione – chiariscono i tre esponenti del movimento di Beppe Grillo – è stata invece deliberata dai probiviri, i quali ci hanno contestato una scelta difensiva che poi ci ha permesso di smontare le accuse di La Rocca e Ciaccio sulla presenza, nel primo pomeriggio, di Di Vita alla riunione del misfatto. Di Vita ha infatti provato con documenti la sua assenza pomeridiana a quella riunione, contraddicendo la versione fornita ai magistrati dagli accusatori. Si badi, la nostra sospensione non è derivata dal procedimento penale in corso né ha riguardato, come invece si è sostenuto in malafede, il nostro ruolo di parlamentari». «Infine – concludono Nuti, Di Vita e Mannino – la perizia calligrafica ordinata dalla Procura è chiarissima per La Rocca, riconoscendo la corrispondenza delle lettere di un'intera parola. Nel caso di Nuti essa esclude qualsiasi compatibilità e nel caso di Di Vita e Mannino non perviene ad alcuna certezza di compatibilità».