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L’intelligenza artificiale è nulla senza senso di responsabilità

Le tecnologie di ultimissima generazione non possono sostituire le capacità umane di comprensione e di prevenzione dei rischi che incidono sulla tutela degli operatori

Per garantire e tutelare i lavoratori nel loro benessere e nell’incolumità fisica, può bastare affidarsi all’intelligenza artificiale?». È la domanda che si pone Antonino Inguaggiato, presidente nazionale di Unilavoro, nella Giornata mondiale sulla Sicurezza del lavoro. Il progresso tecnologico può essere messo certamente al servizio della sicurezza: «È proprio qui - dice il presidente - il fulcro di questa giornata, che celebriamo per la ventiduesima volta, fiduciosi che le evoluzioni digitali dei nostri tempi possano offrirci quel contributo utile a instradarci sul sentiero migliore da percorrere per arginare l'inarrestabile ecatombe che dal 2003 a oggi ha investito 25 mila persone circa; un esercito di persone uscite di casa per andare a lavorare e mai più tornate, solo per avere fatto il proprio dovere».

L’IA in che modo può fornire un supporto?

«Non dubito dell'efficacia delle strumentazioni di ultima generazione - tra l'altro perfezionate in questi anni e migliorabili in futuro - ma partirei dalla foto pubblicata in questa pagina. L'ho scattata un anno fa, passando casualmente nei pressi di un cantiere edile, chiedendomi come si potesse essere così incoscienti da non indossare un caschetto o affidarsi a un ombrellone, sistemato tra l'altro alla meno peggio, per refrigerarsi dai 38 gradi di quel giorno di inizio estate».

La foto ispira un dubbio non ancora fugato: come potrebbe una qualsiasi IA servire la nobile causa della sicurezza, in assenza di ogni senso di responsabilità individuale?

«Concordo: perché se l'IA di turno è al nostro completo servizio per sopperire all'eventuale mancanza di conoscenza e negligenza formativa, poco e nulla è concesso di fronte all'irresponsabilità dell'essere umano, alla sottovalutazione del rischio e a un'incoscienza tale da mettere in secondo piano la sua stessa incolumità. In sostanza sono dell'idea che di fronte a tutto questo non ci sia supporto tecnologico che tenga, che non esista - né mai esisterà - alcuna strumentazione di ultima generazione in grado di fare da scudo, se non la volontà stessa di ognuno di noi di apprendere - facendone tesoro - regole, principi e comportamenti decodificati ormai da anni, aggiornati nel tempo e rimodulati in base ai cambiamenti».

Sono solo i lavoratori gli artefici indiscussi della sicurezza, protagonisti della propria tutela e di quella del collega vicino e, di conseguenza, dell'intero ambiente in cui operano?

«Sicuramente sì e le regole ci sono; ciò che è un obbligo è ben chiaro nell’articolo 18 del decreto legislativo 81/08. Ciò che invece continua a difettare è la volontà di mettere in pratica la dottrina, che ha dal canto suo l'obbligo di essere completa e costantemente aggiornata. Ed è a fronte di quanto appena detto che il pensiero va a quel frame, alla condotta nient’affatto diligente del soggetto catturato, angelo custode mancato di se stesso e di eventuali colleghi ai piani inferiori».

Come si può intervenire?

«Urge farlo, infondendo in ciascuno la cultura del lavorare in sicurezza, coinvolgendolo in prima persona e sollecitando quel senso di responsabilità che nessun ausilio tecnologico potrà mai inculcare, in mancanza di volontà dell'essere umano. E come ogni cultura che si rispetti, perché non partire da lontano, chiamando in causa le scuole, unico vero baluardo di ogni educazione e indottrinamento?».

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