Nel giro di dieci anni, anche la Sicilia rischia di perdere una fetta della propria forza lavoro, con ripercussioni pesanti su economia, servizi e tenuta sociale. A dirlo è l’ultimo studio dell’Ufficio studi CGIA, che ha elaborato i dati Istat sulle proiezioni demografiche: entro il 2035, l’Italia perderà quasi 3 milioni di persone in età lavorativa, ovvero la fascia tra i 15 e i 64 anni. Un crollo del 7,8% che colpirà tutte le regioni, ma con particolare forza il Sud.
Sicilia: -11,7% di forza lavoro
La Sicilia si colloca tra le regioni colpite dal fenomeno, con una contrazione stimata del -11,7% nella fascia lavorativa, pari a oltre 354 mila persone in meno. Ma il dato diventa ancora più allarmante se si guarda al dettaglio provinciale:
- Caltanissetta registrerà un calo del 17,6%
- Enna segue a stretto giro con una flessione del 17,5%
Due province dell’entroterra, già segnate da alti tassi di disoccupazione e spopolamento giovanile, rischiano così di diventare veri e propri deserti demografici. Si tratta di territori dove la carenza di lavoro ha già prodotto ondate migratorie verso il Nord Italia e l’estero, e che ora vedono aggravarsi il quadro.
I rischi per l’economia regionale
Con una società che invecchia e meno giovani attivi, a rischio non c’è solo la tenuta del welfare, ma anche l’intero tessuto economico. La Sicilia, regione a forte vocazione turistica e agricola, potrebbe pagare caro questa riduzione della forza lavoro. Le piccole e medie imprese (Pmi), in particolare, sono le più esposte: faticano già oggi a trovare personale e potrebbero non essere più in grado di sostituire chi va in pensione.
Il settore turistico-ricettivo e quello agroalimentare, che più di altri dipendono dalla manodopera stagionale, potrebbero subire una riduzione strutturale della capacità operativa, mentre settori come moda, trasporti ed edilizia rischiano di contrarsi per effetto di una domanda interna più debole.
Una società più anziana
Il problema non è solo quantitativo ma qualitativo: una popolazione con più over 65 e meno under 30 significa meno consumi, meno innovazione e più pressione sul sistema sanitario e previdenziale. Una dinamica che compromette anche il mercato immobiliare e il futuro dei servizi locali.
A beneficiare della situazione, paradossalmente, potrebbe essere il comparto bancario, grazie all’aumento dei depositi e della propensione al risparmio delle fasce anziane. Ma è un vantaggio settoriale che non bilancia la crisi complessiva del sistema socio-economico.
Inattività giovanile e sfida al Sud
Se da un lato il Mezzogiorno potrebbe contare su una riserva di giovani attualmente disoccupati o inattivi, è evidente che la sola redistribuzione della forza lavoro non basta. Servono politiche attive, incentivi alla natalità, sostegno alle imprese e una nuova visione dell’occupazione giovanile.
Lo studio della CGIA è chiaro: non esistono soluzioni rapide o miracolose, e nemmeno il ricorso alla manodopera straniera potrà colmare il divario. È tempo di ripensare profondamente le politiche del lavoro, della famiglia e dello sviluppo locale.
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