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Termini Imerese, chiede la sospensione del mutuo per Covid ma rischia il pignoramento dell'immobile

I legali sono riusciti a dimostrare che la società non aveva i titoli per procedere al pignoramento e la casa è stata salva

Va in difficoltà a causa della pandemia Covid, chiede la sospensione del mutuo ma qualcosa va storto e dopo tre anni un cittadino di Termini Imerese rischia di perdere la casa dove vive: una società terza, per conto della banca, chiede circa 232 mila euro e avvia la procedura per il pignoramento dell’immobile. Una brutta vicenda che però si è risolta nel migliore dei modi. Lo studio Palmigiano e Associati, al quale si è rivolto l’uomo, è riuscito a dimostrare che la società non aveva i titoli per procedere al pignoramento e la casa è stata salva.

Tutto ha inizio nel marzo del 2020. L’uomo, un libero professionista, aveva acquistato 12 anni prima, nel 2008, la sua prima casa per un importo di 250 mila euro. A causa della pandemia e del lungo periodo di inattività professionale dovuta alle restrizioni governative, aveva avanzato alla propria filiale, una richiesta di sospensione e una contestuale pratica per la rinegoziazione del mutuo. Ma sin dal primo momento, l’assistenza dell’istituto di credito non era soddisfacente per il cliente, ma con molte incertezze sulle modalità di applicazione della normativa emergenziale pur lasciando aperta la possibilità di procedere con la sospensione: «[…] Siamo, però, in attesa di istruzioni relative alle misure di sostegno stabilite dal governo. La preghiamo dunque di ricontattarci più avanti per verificare se la sua particolare posizione rientra tra le fattispecie previste dal decreto». Il professionista era certo però di avere tutti i requisiti di legge.

Dopo un anno di silenzio la banca, anziché procedere alla sospensione del mutuo come richiesto dal cliente, invece intimava il pagamento delle rate scadute e, a pochi giorni di distanza, avrebbe inviato pure una comunicazione di segnalazione a sofferenza. E mentre le richieste del cliente venivano ignorate, l’uomo si è trovato a scontrarsi con l’atto di precetto di una società terza, con il quale veniva chiesto il pagamento delle rate sino a quel momento impagate.

Successivamente, nel 2023, una diversa società di recupero crediti tornava alla carica per recuperare le rate, notificando atto di precetto per circa 232 mila euro, a cui seguiva un pignoramento immobiliare. Sfinito dalla vicenda, che rischiava di mettere a rischio la sua casa, il professionista si è quindi rivolto allo studio legale Palmigiano e Associati, che da oltre 30 anni ha un apposto dipartimento di diritto bancario e, con l’assistenza degli avvocati Alessandro Palmigiano e Luca Panzarella, ha quindi presentato opposizione.

Lo studio legale si è opposto all’esecuzione, contestando che questa società avesse la titolarità per agire. Il tribunale di Termini Imerese ha accolto l’istanza ma la società ha contestato il provvedimento.

Il tribunale in sede collegiale (tre giudici) ha adesso rigettato anche il reclamo, stabilendo che la società che agiva per conto della banca, non aveva provato di avere il titolo per farlo, ovvero non aveva dimostrato di avere ottenuto la cessione del credito dalla banca. In particolare, «in assenza del contratto di cessione, riportante specificatamente i crediti ceduti, il giudice di merito, quindi, è chiamato ad accertare se il credito azionato risponda ai predetti requisiti. Orbene, alla luce della documentazione prodotta, non risulta provato che alla data della cessione l’asserito debitore ceduto era stato oggetto di segnalazione alla Centrale dei Rischi, sicché allo stato deve ritenersi che il credito oggetto di esecuzione non sia univocamente riconducibile alla cessione in blocco. Sul punto si rileva che il documento n. 10 della produzione di parte reclamante, riporta soltanto il preavviso di segnalazione alla Centrale dei Rischi, residuando il dubbio in ordine all’effettiva segnalazione successiva. Né ad esiti diversi può condurre la produzione in giudizio della dichiarazione del soggetto asserito cedente, circa la riconducibilità del credito azionato alla cessione in blocco stipulata con l’odierna reclamante». La causa prosegue ora per il merito.

«Siamo lieti del risultato ottenuto – hanno dichiarato gli avvocati Alessandro Palmigiano e Luca Panzarella –. Purtroppo, accade sovente che i consumatori e le imprese rimangano vittime di un sistema a ‘scatole cinesi’ ed è, quindi, importante far visionare i documenti per verificarne la correttezza».

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