Il tempo che le donne dedicano all'accudimento dei figli e dei parenti anziani o fragili è circa tre volte superiore al tempo dedicato dagli uomini: oltre cinque ore, contro un’ora e quaranta minuti al giorno.
Un dato che fornisce una chiave di lettura su uno dei motivi per cui la disoccupazione femminile in Italia è molto più alta di quella maschile. Secondo l'Istat infatti, circa il 40% delle donne (con punte sopra il 55% nel Mezzogiorno) non lavora, spesso senza provare ad accedere al mercato del lavoro, anche perché risulta quasi impossibile conciliare i tempi del lavoro con quelli della vita privata e familiare.
Questi, alcuni dei dati emersi stamattina nel corso del seminario di promozione delle Politiche di conciliazione, promosso nell'ambito del progetto «Riequilibriamo» finanziato dal Dipartimento per le politiche per la famiglia della Presidenza del Consiglio e che coinvolge diversi enti del terzo settore con circa 3.000 dipendenti in Sicilia e in altre regioni italiane.
Il progetto, coordinato dalla Congregazione dei Poveri Servi della Divina Provvidenza – Istituto don Calabria, prevede un ampio ventaglio di servizi per i lavoratori e le lavoratrici dipendenti, di cui 300 in Sicilia, «per mettere al centro la persona e la sua realizzazione - ha detto Roberto Mattina dell'Opera Don Calabria - in un'ottica che non è di tipo assistenziale ma di valorizzazione umana e sviluppo».
Alcuni dei servizi attivati all'interno della rete di Opera Don Calabria, sono rivolti a tutti i lavoratori e le lavoratrici (per esempio la possibilità di accedere gratuitamente a consulenze di tipo psicologico e a sostegno psicoterapeutico) mentre altri sono riservati alle famiglie con minori piccoli (il contributo baby-sitter, i contributi per lo svolgimento di attività ludico-sportive da pare dei minori). Ma il maggior impatto innovativo del progetto è legato alla organizzazione del lavoro, innanzitutto con la possibilità di ricorso esteso allo smart-working e altre forme di utilizzo delle tecnologie digitali, e ancora con modalità di organizzative che tengono conto delle esigenze familiari e di ciascuna situazione specifica.
Oltre a classiche forme di «flessibilità oraria» concordate con i singoli lavoratori e le singole lavoratrici, il progetto prevede infatti il cosiddetto «turno familiare» e le ferie combinate, lì dove sia il marito sia la moglie siano impiegati nella stessa struttura, particolari misure di tutela delle lavoratrici in allattamento, aspettative estese per i genitori di figli piccoli o che hanno necessità di cura per persone con disabilità.
«L'obiettivo del programma - spiega ancora Mattina - è quello di far sì che ciascun lavoratore e ciascuna lavoratrice si sentano fino in fondo parte attiva di una struttura che si prende cura di tutti. Ne è conferma il fatto che nei primi mesi di svolgimento del progetto si è registrata una migliore produttività complessiva».
Per Giuseppina Tumminelli del Dipartimento di Scienze Politiche dell'Università, «riflettere sulle politiche di conciliazione, ci permette di riflettere in modo più ampio sulle politiche per la qualità della vita dei lavoratori e soprattutto delle lavoratrici, sui meccanismi anche culturali che rendono complesso per le donne equilibrare ed armonizzare i tempi del lavoro e della vita privata. Armonizzare questi due ambiti implica infatti mettere la persona al centro delle relazioni affettive e familiari: tutti elementi che mettono insieme le responsabilità delle imprese, della cosiddetta responsabilità sociale delle imprese, e le responsabilità della politica rispetto alle politiche del lavoro e ai servizi, perché quando si parla di conciliare tempi di vita non si parla di interventi rivolti a singoli componenti più o meno fragili della famiglia, ma di interventi rivolti alla famiglia nel suo complesso, come soggetto unico».
A sottolineare il ruolo della politica è stata Valentina Chinnici, deputata regionale componente della Commissione Lavoro e Cultura dell'Assemblea Regionale Siciliana, che ha sottolineato come «sul fronte della politica purtroppo le azioni concrete in corso sembrano andare in direzione opposta a quella auspicata. Ne è un esempio la vicenda del Pnrr, per il quale si paventa che i primi progetti che non saranno attuati sono quelli per la realizzazione di nuovi asili nido. Una situazione che in Sicilia, con meno del 40% dei Comuni in grado di fornire questo servizio, è ancora più grave perché il mancato accesso ai servizi educativi per l'infanzia può determinare ritardi nei processi di socializzazione, povertà educativa, difficoltà che poi è difficile recuperare quanto i ragazzi e le ragazze entrano nel circuito scolastico».
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