«Oltre 63 mila aziende sparse su tutto il territorio siciliano, delle quali più di 13 mila nella sola provincia di Palermo, per un totale di 165 mila addetti». Sono le piccole imprese dell’Isola che, insieme ai loro dipendenti, rischiano di essere travolte dallo tsunami caro energia, «mentre alcune ditte, a fronte di bollette della luce e del gas raddoppiate, se non triplicate rispetto allo scorso anno, già hanno deciso di sospendere l’attività in attesa di tempi migliori». Parola di Daniele La Porta, presidente di Confartigianato Sicilia, che contro la crisi energetica in atto ha ingaggiato una lotta serrata, e su più fronti, «coinvolgendo la politica e le istituzioni, sia a livello regionale che nazionale, e affiancando concretamente gli artigiani con l’iniziativa “Nessuna impresa chiuda”».
Ma in questa fase le piccole aziende non dovrebbero soffrire un po’ meno rispetto alle grandi, che consumano più energia e hanno più lavoratori?
«Lo shock economico non sta risparmiando nessuno, e se è vero che le micro e piccole imprese hanno meno dipendenti e meno spese in bolletta rispetto alle grandi, è altrettanto vero che tutto è proporzionato alla realtà produttiva: le piccole sono meno strutturate delle grandi e non possono certo contare sullo stesso volume di crediti bancari, dunque sono più esposte alla crisi, tanto che molte hanno deciso di chiudere battenti preventivamente. Stiamo parlando della spina dorsale dell’economia siciliana, che pesa per il 6% sul totale dell’artigianato italiano, per un valore aggiunto di 6,4 miliardi di euro».
Quali sono i settori più a rischio?
«L’elenco stilato dal nostro Osservatorio è lungo. Si va dai ceramisti a chi lavora il vetro, per non parlare delle attività del tessile, della falegnameria e dei panifici. Ma oltre alla manifattura c’è anche tutta la filiera del turismo, dalle strutture ricettive alla ristorazione, fino ai comporti del sistema trasporti, colpiti dall’aumento del costo del gasolio, trainato dall’escalation dei prezzi di gas ed elettricità delle ultime settimane».
Il 7 novembre scenderete in piazza a Palermo contro il caro bollette insieme ad altre associazioni datoriali e ai sindacati, in una manifestazione che per unità di intenti ha pochi precedenti nella storia della Sicilia: cosa chiederete al nuovo governo nazionale?
«Di premere sull’Ue affinché venga messo un tetto massimo al prezzo dell’energia, ma anche di dialogare con il tessuto imprenditoriale, perché in un momento di crisi così profonda serve un’azione di lobby: bisogna fare squadra, come l’associazionismo di impresa in Sicilia con la manifestazione del 7 novembre, durante la quale lanceremo un segnale di grande coesione».
E al nuovo governo regionale, cosa chiedete al netto del tema bollette?
«Prima dell’election day, con tutti i candidati alla presidenza abbiamo firmato un “Patto di fiducia” che impegna la politica a concretizzare obiettivi che riteniamo prioritari, dal contrasto alla mala-burocrazia, che ogni anno “ruba” agli imprenditori oltre 230 ore soltanto per occuparsi degli adempimenti fiscali, ad una oculata ripartizione dei fondi del Pnrr, per incentivare lo sviluppo delle imprese ma anche per potenziare il livello infrastrutturale dell’Isola. Continueremo su questa strada, vigilando affinché il “patto” venga rispettato e dialogando con tutti, dal nuovo esecutivo alle forze di opposizione, cercando un confronto continuo. È l’azione di lobby cui accennavo prima, che va fatta anche a livello provinciale».
Nel frattempo, avete lanciato l’iniziativa “Nessuna impresa chiuda”. Di cosa si tratta?
«Vogliamo stare accanto alle nostre aziende in modo concreto. Per esempio, diamo assistenza su tutto ciò che riguarda la spesa energetica, controllando dettagliatamente i consumi dei macchinari e spiegando ai dipendenti come evitare al massimo gli sprechi».
A proposito di dipendenti. In questa fase molte imprese lamentano criticità nel rintracciare la domanda di lavoro, nonostante i 270mila percettori di reddito di cittadinanza residenti in Sicilia: persone che sulla carta, in base al patto di servizio che hanno firmato, sarebbero disponili a lavorare. Come lo spiega?
«È vero, le offerte di lavoro non mancano, e in teoria pure le persone che cercano occupazione. Quel che manca è la base per incrociare domanda e offerta: bisognerebbe aumentare il livello di formazione, prima e dopo il percorso di studi. Servono lavoratori qualificati».