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Credito e globalizzazione, poco denaro alle piccole imprese in Sicilia

PALERMO. Crediti centellinati alle piccole imprese, ma la crisi di liquidità non è colpa delle banche locali. In Sicilia ormai ne sono rimaste soltanto  due, la Popolare Sant’Angelo e la Popolare Agricola di Ragusa. La globalizzazione e l’apertura di sportelli dei grandi istituti non ha risolto il problema del razionamento del credito. Occorre riscoprire la specificità del tessuto economico siciliano, fatto di microimprese e imprese individuali, agevolare la nascita di medie imprese.
Un “attacco” concentrico che ha visto attorno al tavolo dell’incontro “Il ruolo del credito nell’economia globalizzata”, organizzato nell’ambito della X edizione delle Giornate  dell’Economia del Mezzogiorno, dopo i saluti di Patrizia Di Dio, presidente nazionale Terziario donna Confcommercio, l’introduzione di Pietro Busetta, presidente della Fondazione Curella, e di Alessandro Dagnino, presidente IRFIS FinSicilia SpA., gli interventi di Piero Alessandrini (professore emerito Università Politecnica delle Marche), Giovanni Ferri (pro rettore alla Didattica dell'Università Lumsa), Michele Fratianni (professore emerito Indiana University), Luca Papi (Università Politecnica delle Marche), Enzo Scannella (Università degli Studi di Palermo). A seguire gli interventi di Giovanbattista Cartia (presidente Banca Popolare di Ragusa), Ines Curella (direttore generale Banca Popolare Sant’Angelo), Leonardo Frigiolini (Frigiolini & Partners), Vittorio La Placa (responsabile retail Sicilia di Unicredit), Francesco Maiolini (direttore generale Banca Igea), Vincenzo Macaione (amministratore delegato Primus Capital), Salvatore Vitale (presidente Banca Popolare Sant’Angelo).
Alessandro Dagnino, presidente dell’Irfis ha partecipato all’incontro insieme con il direttore generale Giulio Guagliano: “Lo sviluppo, più che tardare, c’era ed è venuto meno. La globalizzazione sarà pure un processo mai del tutto compiuto ma ha un problema congenito: la standardizzazione e l’appiattimento. Pensiamo all’international style degli skyline, le aree edificate a grattacieli nelle city di tanti Paesi. Collocarsi in un contesto internazionale, però, resta vitale per la Sicilia”. “Uno dei mali dell’impresa siciliana è la carenza di medie imprese. L’Irfis ha inaugurato l’attività di consulenza diretta oltre a quella di erogazione di credito. Attività faticosa quanto indispensabile, in una realtà zeppa di microimprese e imprese individuali. Il nostro obiettivo dunque è creare un vero tessuto di medie imprese. L’Istituto – ha aggiunto Dagnino – nel 2016 ha avuto un utile di esercizio di 1,2 milioni, condizione non per il profitto che non è fra i nostri scopi istituzionali,  ma per continuare a  concedere tassi agevolati. Il margine di intermediazione è stato di 8,6 milioni. Ha erogato somme alle imprese siciliane per 44,3 milioni di euro, a cui si aggiungono 66 richieste di finanziamento al 31 ottobre 2017 per 55 milioni”.
Patrizia Di Dio nel suo intervento ha esortato a “fare della Sicilia la patria economica della bellezza. Nell’attività economica abbiamo una sola strada: riscoprire l’importanza della funzione della relazione, del fattore umano per l’individuo, l’impresa e la comunità. Sono tra gli operatori economici – ha sottolineato la presidente di Confcommercio Palermo - che si interrogano sulla dignità del proprio lavoro. La domanda è: quanto costa? Chiediamoci piuttosto: quanto vale? Se la cultura d’impresa guarda lontano, riscuote fiducia. E quindi credito. L’economia del nuovo umanesimo, della bellezza, quella che identifica i valori con i beni, è anche il negozio sotto casa che fa comunità. Non potremo mai portare la sfida sul piano della competitività del prezzo – ha aggiunto Di Dio - ma possiamo vincere se mettiamo al centro dello scambio di beni e servizi la persona e riproponga rielaborandoli modi antichi di fare impresa”.

E Patrizia Di Dio ha evidenziato alcuni numeri: “L’economia della bellezza, quella capace di capitalizzare la specialità estetica (ma anche etica) del nostro Paese, vale 240 miliardi con margini di crescita di altri 44. L’industria ricreativa 61 miliardi, il turismo oltre 30.  La Sicilia in questa economia deve intercettare la crescente domanda d’Italia da tutto il mondo”.

Pietro Busetta si è chiesto “come superare il nodo dell’accesso al credito in una realtà a sviluppo economico ritardato o non compiuto come la nostra. L’equivoco di fondo è pretendere che il credito possa essere trattato allo stesso modo a Palermo e a Berlino. Semplicemente non è vero. In realtà – ha detto Busetta - il problema che hanno i banchieri che operano al Sud è quello di avere una classe di interlocutori affidabili molto ristretta. Il 60% delle imprese è a conduzione individuale o familiare con un addetto. Piccole somme che appesantiscono relativamente i costi di gestione, tanto da indurre la banca a una scelta: 1) il razionamento, cioè negare il credito anche a chi lo merita; 2) il carico dei costi vivi sull’imprenditore, il che fa salire i tassi sopra i livelli d’usura. Eccolo, il tema centrale: la difficoltà di seguire il credito di dimensioni ridotte, che è preminente in Sicilia e nel Sud, in termini di sofferenza, solvibilità del credito stesso e  di costo del denaro”.
Per Giovanni Ferri dell’Università Lumsa “l’arricchimento individuale non ha senso se determina impoverimento altrui. Il credito non è un concetto standard, per questo le banche locali sono fondamentali. In Sicilia ne resistono due, la Sant’Angelo e la Popolare di Ragusa. Le altre sono sparite, avere testa sul territorio significa ridurre il fenomeno del razionamento. E qui entra in gioco anche il pubblico, che può innestarsi in questo contesto ormai povero di operatori che investono sul territorio, dando agevolazioni per la presenza di banche esterne”.

Ines Curella, dg della Sant’Angelo ha ribadito il ruolo delle banche locali radicato nei sistemi economici territoriali: “Pensiamo di poter svolgere un ruolo ancora decisivo – ha detto -.  Il 35% delle erogazioni è ancora affidato alle banche locali, malgrado siamo rimasti in due, noi e la Popolare di Ragusa, oltre a una serie di piccole Bcc, casse rurali. La presenza di sportelli di banche esterne non ha sanato i problemi strutturali: il divario dello spread sui tassi Nord-Sud che nel ‘94 era di pochi punti percentuali, oggi resta invariato nonostante l’azzeramento dei tassi; gli stock di sofferenze; il razionamento del credito che non è migliorato. Il sostanziale fallimento di altri istituti dimostra che il problema non era l’inefficacia delle banche territoriali, ma la mancata comprensione delle ragioni delle differenze fra Nord e Sud. L’assetto societario delle nostre banche locali continua a basarsi sul rapporto mutualistico con la miriade di soci radicati nel territorio. I centri decisionali dentro il territorio facilitano la comunicazione e la comprensione delle criticità. Capitalizziamo e reinvestiamo qui. I rapporti sono improntati a logiche di reciproco sostegno con il socio-impresa nel progetto comune di sviluppo locale. Il compito delle banche locali oggi nel mondo globalizzato è integrare le differenze, interpretare e colmare ciò che è e resterà diverso fra le diverse realtà economiche”.

 

Concetti condivisi da Paolo Alessandrini, professore emerito dell’Università Politecnica delle Marche, che ha illustrato le “distanze funzionali, cioè quanto conti il dove sia la testa, il centro decisionale, di una banca. Le banche del territorio non sono causa, ma vittime della crisi. Insomma, non sono loro il problema. Non è vero che sono scarsamente capitalizzate, hanno un livello di patrimonializzazione di alta qualità, in percentuale superiore alle grandi banche. E hanno subìto maggiori imposizioni sulle spese di vigilanza. Il sistema deve essere reso complementare. Abbiamo oggi 184 banche in meno dal 2009. Fra il 2007 e il 2015 l’incidenza dei crediti in sofferenza è più che triplicato, ma la Banca d’Italia nella sua Relazione 2017 ci ricorda che a metà ani ’90 il picco era stato maggiore. Dal 2001 al 2008 gli sportelli erano aumentati, pensando che la concorrenza fosse questo. Dal 2008 al 2016, meno 15%. Veneto, Marche e Sicilia sono le regioni che hanno ridotto di più. La riduzione dei tassi ha ridotto i margini di intermediazione delle banche, causando un volume maggiore di operazioni per fare utili. La riduzione dei sistemi bancari –avverte il governatore di Bankitalia Visco -  anche per effetto dell’exploit dell’home banking, è una via obbligata, a vantaggio dei sistemi finanziari. La trasformazione strutturale delle banche è quindi indispensabile. La minore redditività rende difficile la maggiore copertura patrimoniale. Cresce infatti il livello di copertura per i rischi. Altra grande rivoluzione e peso crescente, l’aumento esponenziale dei requisiti tecnici richiesti alle banche. Nel 2016 i requisiti tecnici e amministrativi hanno raggiunto l’impressionante quota di 6.759, 2.2275 quelli modificati, 1.203 abrogati. Dal 2015, sono 61.462 i requisiti in più”.

“Oggi UniCredit – ha sottolineato nel suo intervento Vittorio La Placa di UniCredit - conta in Sicilia oltre 550.000 clienti su internet banking e quasi 200.000 clienti su mobile banking e ha registrato nella regione, a ottobre 2017, tassi di accesso ai canali alternativi decisamente elevati: attraverso ATM, chioschi e internet banking, infatti, sono stati effettuati il 94,4% dei prelievi, il 77,4% dei versamenti di assegni e contanti sul conto corrente e il 68,9% dei pagamenti. Se a ciò si aggiungono i dati dello stesso periodo relativi alle operazioni di pagamento delle imposte (65,9%) e delle disposizioni di bonifico (93,2%) effettuate tramite canali evoluti si può avere un quadro completo della tendenza in atto”.

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