PALERMO. La prima casa è quella dove effettivamente si vive, nonostante la residenza formale all'anagrafe risulti in un'altra abitazione, e ha diritto alle agevolazioni fiscali previste dalla legge. Con queste motivazioni, la Commissione tributaria provinciale ha annullato un accertamento tributario inviato dal Comune di Carini a un professionista per il mancato pagamento dell'Ici negli anni dal 2007 al 2009 (sentenza 885/07/2017, presidente Giuseppe Dell'Aira). «La Commissione sancisce un principio fondamentale in materia di applicazione dell'Imposta Municipale Unica (Imu) ex Imposta Comunale sugli Immobili (Ici) – sottolinea il commercialista Fulvio Gagliano che ha difeso il contribuente di Carini - l'abitazione principale è esente dal pagamento del tributo e l'agevolazione non può esser negata a causa dell'omessa indicazione nella dichiarazione fiscale né per la divergenza tra il luogo indicato e la residenza anagrafica del contribuente in quanto vale l'effettiva fruizione dell'immobile». I fatti risalgono a tre anni fa quando al carinese vennero notificati tre distinti avvisi di accertamento relativi all'apparente mancato pagamento dell'Imposta Comunale sugli Immobili (ICI) rispettivamente per gli anni d'imposta 2007, 2008 e 2009 per l'immobile dove risultava residente anagraficamente negli archivi del Comune che ha emesso l'atto impositivo. «Ma il mio assistito di fatto risiedeva in tutt'altro immobile – continua Gagliano - che pertanto acclarava e considerava come sua unica residenza principale unitamente a tutto il proprio nucleo familiare, ritenendolo pertanto escluso dal pagamento dell'imposta». E per provare ciò, il professionista ha esibito la concessione edilizia in sanatoria, il certificato di abitabilità, e le utenze idrica, energetica e telefonica che quotidianamente utilizzava assieme alla sua famiglia. «Il collegio giudicante presieduto dal giudice Giuseppe Dell'Aira, fissa un importante principio di diritto riprendendo la giurisprudenza di legittimità in tema di Ici – conclude Gagliano- , secondo la quale la prova dell'effettiva destinazione dell'immobile in cui un soggetto dichiara di risiedere abitualmente unitamente al proprio nucleo familiare, se pur diversa da quella dichiarata in anagrafe, ove venga dimostrata dallo stesso mediante prova contraria, diviene suscettibile di apprezzamento riservato alla valutazione del Giudice di merito» che, perciò, ha annullato le tre cartelle di pagamento ritenendole non dovute. Nonostante il ricorrente avesse chiesto che il Comune venisse condannato al pagamento delle spese processuali, la Commissione tributaria ha deciso che vengano compensate «in quanto l'avviso di accertamento è stato determinato dalla circostanza che il ricorrente aveva stabilito la propria residenza in un luogo diverso dall'abitazione principale, così inducendo in errore il Comune». Come a dire, se avesse comunicato il cambio di residenza in tempo non sarebbe successo niente.