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Quando il coraggio germogliò sui Monti Iblei grazie alle seminatrici

Il nuovo romanzo di Antonella Desirée Giuffrè, «La seminatrice di coraggio», edito da Tre60, in libreria dal 24 giugno

Le pagine vibrano di vento, di zolle spaccate e di sogni ostinati. Ci si ritrova davanti a un affresco che vive di contrasti: la polvere delle strade contadine contro lo splendore cangiante di un tramonto, la brutalità delle requisizioni belliche contro la tenerezza di un amore epistolare nato per caso. Le parole germogliano in immagini potenti, trasformando una storia locale in epopea.

Il nuovo romanzo di Antonella Desirée Giuffrè, La seminatrice di coraggio, edito da Tre60, sorprende e resta a lungo nella memoria. Grazie a un stile lontano dalle pedanterie, dati e contesti vengono incastonati dentro dialoghi serrati, sfruttando l’intreccio per mostrare come le lotte di allora parlino ancora alle nostre tensioni presenti su temi come la terra, il lavoro e i diritti. Sì, perché le proteste agrarie del primo dopoguerra nel plasmare il sindacalismo italiano e, più in generale, la coscienza civile del Paese prendono vita in un'isola che in queste pagine torna a farsi carne e memoria.

Antonella Desirée Giuffrè catapulta il lettore fra i Monti Iblei nel pieno delle marce bracciantili dell’aprile 1918, quando decine di donne «con i fazzoletti in testa e i vestiti della domenica addosso» avanzano in una «piana battuta dal sole alto» dove «la terra è arida come un ventre infecondo» . Giuffrè usa questo scenario come fondale storico e  come palcoscenico su cui interrogare le radici, ma anche le contraddizioni, dell’emancipazione femminile.

Fin dalle prime pagine la narrazione si fa coro: «La campagna siamo noi!» urlano le contadine, rivendicando una dignità che la guerra e la miseria avrebbero voluto sottrarre loro. È un grido che si sente  in modo forte e che attraversa il libro e, in qualche modo, lo rende romanzo corale. C'è tanta cronaca di quel risveglio politico capace di far dialogare la grande storia con l’intimità dei gesti quotidiani. Viene descritto il funerale di Tony Rutelli come «una scia scura che avanza lentamente e si fa sentiero, una serpentina di corpi che divora la terra argillosa in una litania funebre».

Il taglio è anche cinematografico. È possibile vedere campi lunghi e primi piani che toccano le corde dell'emotività. Ci sono tocchi di realismo che sfiorano diverse sensibilità. Resta l’odore del rosmarino che punge le narici, il fango che macchia il vestito della protagonista, il rumore metallico di una pistola che cade.

Uno dei passaggi che resta è, ad esempio, la lezione "silenziosa" sul cedro del Libano: «Il loro è un tempo che viaggia all’inverso, così fragile nell’infanzia, così robusto nell’età che avanza». Una metafora che diventa poesia: come gli alberi, anche le donne del borgo crescono radicandosi nella terra finché non sono abbastanza forti da puntare lo sguardo, e anche il dissenso, verso il cielo.

«La seminatrice di coraggio è la storia di una madre, di una moglie, di una sorella - spiega l'autrice -. Di una donna istruita e di un’analfabeta. Di una e di tutte, sole e incontro al proprio destino. È la storia delle donne impegnate nel duro lavoro nei campi, rimaste senza uomini e, per questo, costrette a sostituirli in certe mansioni da cui prima erano completamente escluse. La seminatrice di coraggio racconta la vita nei campi di una Sicilia battuta dalla fame e dall’abbandono dello Stato. Racconta le persone, le famiglie e le case di gente comune al cospetto della Storia. E, in questo mondo di meraviglie e orrore, racconta di una donna finalmente cosciente della propria forza. Consapevole, a un tratto, di quella possibile indipendenza per cui inizierà presto a combattere. La seminatrice di coraggio intende raccontare la Storia attraverso le donne. Ed è certamente a loro, alle donne di ogni epoca, che scelgo di dedicarlo. Alla donna che è guerra e pace. Storia. Memoria».

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