Palermo, alla sala Strehler del Biondo la salute mentale e i conflitti interiori in «Ma perché è sempre Natale?»
«Cara F.» e via di sentimento. Non è una donna che scrive a un uomo, ma una donna che si sviscera, si racconta, si sistema sul solco della scrittura per curare il suo mal de vivre di baudelairiana memoria, che non è star male ma vivere senza vita. Lucia scrive e parla con se stessa innanzitutto, poi con un grumo inespresso di grigiore, per comporre un moderno romanzo epistolare. «Ma perché è sempre Natale?» è un romanzo di Rosemarie Tasca d’Almerita e da domani sera (25 febbraio) anche uno spettacolo al Teatro Biondo di Palermo, che lo produce e lo ospita in sala Strehler fino al 9 marzo. Hanno preso in pugno queste pagine (ovviamente) due donne, Micaela De Grandi e Valentina Ferrante con Emanuele Maria Russo, e lo hanno adattato per la scena, e lo interpretano con Ginevra Di Marco e Gaia Bevilacqua. Le musiche originali sono di Luca Mauceri, scene, costumi e video di Banned Theatre. Rosemarie Tasca d’Almerita racconta una vicenda privata affrontando il difficile tema della salute mentale, che coinvolge molti giovani e le loro famiglie. Quattro donne esplorano l’inquietudine della protagonista Lucia che, crescendo, si sottrae alle prove della vita adulta. Una vita in movimento, alla ricerca smaniosa di qualcosa che non riesce o non vuole afferrare. Lucia trascina il lettore (in questo caso, lo spettatore) in un mondo confuso e caotico, il suo mondo, a cui fa da sottofondo un brusìo che la tormenta ossessivamente e che la spinge sempre verso un luogo che non le appartiene. «Lucia scrive a F., le racconta ogni passaggio del suo “malvivere” perché questo le consente di esistere, di mantenere un contatto con la realtà - scrivono le due attrici e registe -. Rivolgendosi nelle sue lettere all’amica Francesca (forse il suo alter ego?), chiede sommessamente una via di fuga da quel male di vivere che attanaglia molti giovani e che va riconosciuto in tempo, nominato ad alta voce e affrontato. Senza vergogna». L’unico modo per portare il romanzo in scena, era di creare un non-mondo tra reale e irreale, tra immagini e ricordi distorti, filtrati attraverso gli occhi e i desideri di Lucia. La scena (e quindi la mente di Lucia) è una scatola chiusa che, come una prigione, confina la protagonista in un luogo indefinito e claustrofobico. (*sit*)