Si sono confrontati con stili di vita, mentalità e cultura diversi, hanno imparato a cucinare e a mangiare italiano, anzi siciliano. I ragazzi, che hanno partecipato al progetto Erasmus, attraverso l’associazione Raizes, presieduta da Francesco Campolo, hanno vissuto esperienze formative, arricchito le loro conoscenze, sviluppato nuove competenze ma hanno scoperto anche un mondo nuovo, quello dei non vedenti, che non è buio come immaginavano, al contrario, è fatto di colori vivi e accesi perché le persone che hanno conosciuto hanno tanta voglia di vivere e di fare. Trentadue ragazzi provenienti da Francia, Turchia, Tunisia, Ucraina e Lussemburgo, quest’ultima è la nazione organizzativa del progetto con Association Luxembourgeoise pour le dialogue interculturel, presieduta da Sabrina Benfriha, sono stati ospiti per dieci giorni dell’istituto dei ciechi Florio-Salamone di Palermo.
Hanno vissuto a stretto contatto con i ragazzi non vedenti e usando le loro parole «è stata un’esperienza fortissima che ci ha fatti crescere e amare di più la vita». I giovani, in un clima di scambio e confronto su temi diversi, compreso quello della cucina, hanno condiviso i loro vissuti. Ciascuno ha preparato e fatto conoscere agli altri un piatto tipico del proprio Paese e se i ragazzi italiani hanno cucinato gli spaghetti e impastato la pizza, Alessia Petrozzi francese (anche se il suo cognome svela le sue origini italiane) ha preparato la quiche (torta salata) e la creme brulee. Oussama Ben Abda, che arriva dalla Tunisia, ha preparato per tutti la tajine, piatto a base di carne e verdure. Tante le attività organizzate all’interno dell’istituto ma non sono mancate le gite fuori porta.
«È la prima volta per me in Sicilia - dice l’ucraina Anna Boiko -. Poche volte ho visitato città belle come Palermo. Porterò con me nel cuore il Teatro Massimo, il mare di Mondello, la gente della Kalsa». Osman Eldemir, 24 anni, racconta la sua Turchia e riconosce nei siciliani «forte temperamento e grande accoglienza. Mi sento a casa - dice - del resto siamo vicini geograficamente e nella Sicilia rivedo molto della mia terra».
La lussemburghese Sabrina Benfriha spiega l’obiettivo del progetto. «Si cucina insieme e si impara l’uno dall’altro - dice -. Quando siamo arrivati ci hanno fatto vivere l’esperienza del bar al buio. Siamo entrati in una stanza senza luce e abbiamo compreso cosa significa per le persone non vedenti muoversi da sole. Abbiamo scoperto il loro spirito di adattamento, il senso dell’orientamento, cose che spesso noi non abbiamo o non sappiamo di avere. La bellezza di questo progetto è scoprire che le barriere si possono abbattere ed è bello farlo perché ciascuno ha sempre qualcosa da imparare e da insegnare all’altro». Yong Di ha 20 anni e vive all’interno dell’istituto. «Nel gruppo si è creata unione ma anche amicizia e solidarietà - dice -. Siamo tutti diversi ed è proprio questo il bello, ognuno ha la sua unicità».
Il presidente dell’istituto dei ciechi, Tommaso Di Gesaro, che ha qualche anno in più dei ragazzi, respira la loro allegria ed è felice che l’istituto sia diventato internazionale. «La cofondatrice Francesca Salamone - racconta Di Gesaro - nel 1894, nel testamento, lasciò la sua volontà: le donne cieche dovevano essere assistite ma bisognava dare anche ospitalità alle donne provenienti da altri Paesi. L’istituto oggi accoglie tutti offrendo pari opportunità, senza discriminazioni e nel rispetto della diversità».
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