Palermo

Venerdì 18 Ottobre 2024

Monte Pellegrino a Palermo, quel che resta del più bel promontorio del mondo

museo santuario santa rosalia

Ci vorrebbe un notevole sforzo di fantasia per sostenere, non senza imbarazzo, che «il più bel promontorio del mondo», cioè Monte Pellegrino, tanto caro a Wolfgang Goethe che lo visitò nel 1787, sia, ancora oggi, effettivamente tale. Francamente, guardando la realtà, chi può dire che il promontorio, tra degrado e abbandono, sia «fortemente attrattivo» per i palermitani o per i turisti come in un passato non tanto lontano? A fine ’700 quando vi giunse Goethe, a parte i luoghi sacri (Grotta e Santuario di Santa Rosalia), la montagna era abitata da eremiti, pastori, greggi, mandrie e si distingueva per l’esistenza di una natura ricca e incontaminata. Flora e fauna erano «croce e delizia» di botanici, cacciatori, boscaioli ed estimatori di capperi, fichidindia e carrube. Curiosità destava, come ora, la presenza di pennuti pregiati: falchi pellegrini, poiane e civette. La via d’accesso era costituita dalla «strada vecchia», non carrozzabile, costruita tra il 1674 e il 1725, per consentire, ancora oggi, di raggiungere a piedi il Santuario bypassando l’esistente passo della «valle del Porco». Nel secolo scorso Monte Pellegrino subì una serie d’interventi per migliorarne la fruibilità e l’offerta turistica. Nel 1924 fu aperta al pubblico l’opera progettata, nel 1896, dall’architetto Giuseppe Damiani Almeyda ovvero la strada rotabile poi denominata via Pietro Bonanno. A breve dovrebbe essere installato su tutto l’asse viario l’impianto d’illuminazione a led. Nel 1933 venne, invece, inaugurato il vistoso Castello Utveggio, edificato ad oltre 300 metri di altezza. L’opera voluta dall’imprenditore edile Michele Utveggio, doveva essere adibita a grande albergo. Obiettivo che venne realizzato in parte. Durante il secondo conflitto mondiale, il Castello fu più volte occupato militarmente. Quindi l’abbandono fino a quando, acquisito e riattato dalla Regione, divenne sede del Cerisdi ed anche luogo di rilevanti eventi quali il Prix Italia della Rai (1990) e il Convegno delle Chiese d’Italia (1995) con la presenza di Papa Giovanni Paolo II. Al cessare di ogni attività, la struttura venne ancora «dimenticata» fino a tutto il 2021, allorchè ebbero inizio, con finanziamenti regionali, i lavori di ristrutturazione. Ad oggi non si sa bene quale sarà la nuova destinazione d’uso del sito. Nonostante che l’aspetto più importante di Monte Pellegrino sia, secondo Rosario La Duca, «quello di carattere religioso, per la continuità di culto praticatovi a partire dalla preistoria sino ai nostri giorni, tale da fargli meritare nel corso dei secoli l’appellativo di Montagna sacra», occorre evidenziare che, soprattutto dal 1950 in poi, c’è stato un positivo proliferare d’iniziative sportive e ludiche che lo hanno considerevolmente vivacizzato. I lettori, un po’ attempati, ricorderanno la cosiddetta «cronoscalata», gara automobilistica di velocità in salita già sperimentata nel 1924 e, in maniera puntuale, negli anni a seguire con l’aggiunta di altre gare. La gente si accalcava per vedere campioni come Tazio Nuvolari o il «preside volante» Ninni Vaccarella. Nella primavera del 1954, negli stessi circuiti, si svolse una tappa del Giro d’Italia, in cui gareggiava il grande Fausto Coppi. Dal 1980 al 1993 toccò al Giro internazionale di Sicilia, gara ideata dall’orlandino Ciccio Ingrillì. Le pareti rocciose del Monte erano diventate meta di ostinati scalatori, che praticavano difficili «arrampicate». Infine il Montepellegrino Festival produrrà spettacoli estivi di musica, danza, cinema e teatro dagli anni ottanta al 1997, sotto la direzione di Lollo Franco e Angelo Butera, nell’ampio spazio del belvedere. Ne beneficiarono, in clientela, anche gli scomparsi bar e ristoranti, le rustiche pizzerie e venditori di souvenir. Monte Pellegrino, alto 609 metri, «possiede» ben 134 grotte. Alcune di esse recano importanti testimonianze di arte rupestre preistorica risalente a 14 mila anni fa e forse più. Insomma grotte da meritare il riconoscimento di patrimonio dell’umanità dall’Unesco. I graffiti dell’Addaura vennero alla luce casualmente. Quasi alla fine dell’ultima guerra mondiale, l’esplosione di munizioni militari, custodite nella grotta, portò alla luce i graffiti tracciati sulle pareti. Per anni l’accesso venne garantito a tutti. Dal 1997 l’ingresso risulta «sbarrato», causa rischio crollo dei vicini costoni di roccia. Da 27 anni i pregevoli graffiti sono sottratti alla vista di chiunque. A parte la Grotta di Santa Rosalia, profonda 25 metri, più che visitabile, non sembra che le altre (ad esempio grotta Niscemi, quelle denominate del Condannato, della Perciata e, infine, la grotta del Ferraro scoperta nel 1932) di notevole interesse siano accessibili. Monte Pellegrino fa parte della omonima Riserva naturale, istituita nel 1996 con legge regionale e affidata alla gestione dell’Associazione Rangers d’Italia, per tutelare e salvaguardare l’ambiente naturale del più grande polmone verde dentro la cinta urbana. Propositi lodevoli messi a rischio da non poche criticità. Circa settanta anni fa sono stati predisposti progetti per consentire ai visitatori di raggiungere, in tempi brevissimi, i luoghi più significativi della Montagna Sacra. Il 21 ottobre 1956 il Giornale di Sicilia titolava: «La Regione acquista il Castello Utveggio e decide la costruzione di una funivia». Il 20 aprile del ’57 il titolo dello stesso giornale è più circostanziato: «Imminente inizio della funivia per Monte Pellegrino». L’articolo, frutto di notizie ufficiali diramate dalla Regione, precisava che i lavori, già finanziati, sarebbero iniziati entro pochi mesi. La funivia, dai Leoni all’Utveggio e da qui al Santuario di Santa Rosalia, avrebbe coperto un percorso lungo 2.820 metri in 10 minuti. Sembrava davvero cosa fatta. Invece, qualche mese dopo, giungerà l’amara notizia che la funivia non sarebbe stata più realizzata. Più tardi volenterosi professionisti consigliarono di realizzare, in sostituzione, una funicolare o un trenino a scartamento ridotto. Proposte interessanti, che caddero nel «vuoto». Nel 1964, nella roccia, a picco sul mare, presso il piazzale cardinale Pappalardo, fu posizionata una statua di Santa Rosalia, opera di Benedetto De Lisi, quasi nello stesso punto in cui nel 1664 era stata eretta una statua, molto più grande e ornata da archi e colonne, visibile a lunghe distanze, per consentire ai naviganti di pregare ed invocare protezione. Due secoli dopo il complesso monumentale fu distrutto da un fulmine. Seguirono altri tentativi, finiti male. Poi la soluzione finale: la statua in bronzo del De Lisi, che da sessanta anni protegge i devoti. Nel 1957, dopo otto anni di lavori su progetto dell’ingegnere Gabriele Ascione, venne aperta la seconda strada rotabile denominata via Monte Ercta. Da un po’ di tempo, però, ha bisogno di «cure». Intanto risulta interdetta al traffico veicolare. Alimentando così delusione su delusione. Accanto alle cose realizzate o a quelle da definire, si è registrato, come si è visto, un fiorire di proposte (comprese quelle avanzate, a suo tempo, rispettivamente dal grecista prof. Giusto Monaco e dal Damiani Almeyda e cioè: la costruzione di un Teatro Greco e di una stazione climatica per villeggianti) che menti fervide hanno sempre concepito, nel rispetto dei luoghi e dei vincoli, per rendere sempre più fruibile il Monte. A 400 anni dal primo Festino, sembra arrivato il momento, senza pregiudizi o diffidenze, di avviare, a tutti i livelli, una politica «del fare». Monte Pellegrino non può essere considerato un «ingombro», ma una valida «risorsa» su cui investire per fare uscire dal torpore l’economia cittadina. La sua valorizzazione è diventata, nel sentire popolare, una questione prioritaria perché, fra crolli, smottamenti, ritardi e incuria, si è quasi affievolito, non sul piano religioso, il feeling di una volta. Appare utile e urgente costituire un tavolo operativo tecnico-politico-amministrativo, per individuare e programmare, nel rispetto dei vincoli, un percorso serio, certo e scadenzato, di valorizzazione e rinascita del promontorio che rischia, davvero, visto il suo stato, di perdere l’appellativo di «più bello del mondo».

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