Due colpi da archibugio, una specie di fucile che si carica con pallettoni da otto millimetri, quindi un’arma non da taglio, ma da fuoco. Questo lo strumento usato per uccidere Laura Lanza e il suo presunto amante tramandato nel tempo con il nome di Ludovico Vernagallo, che invece si sarebbe chiamato Vernagalli. A riscrivere la storia della baronessa di Carini sono Vito Badalamenti e Aurelio Grasso, autori del libro Lauria Elisabetta Joanna Lanza e il magnifico Ludovico Vernagalli, presentato ieri (2 dicembre) al Castello La Grua Talamanca, dove è in corso Maricchia, il primo festival Uilt, dedicato alle donne. Un saggio al quale ha collaborato anche Santa Di Natale. La pubblicazione, presentata in occasione del 460esimo anniversario dell’omicidio della baronessa, è stata realizzata grazie a tanti documenti inediti, conservati nell’archivio di Simancas, in Spagna, in quello di Palermo e in altri ancora. «Il libro - raccontano gli autori - ci restituisce anche un nuovo ritratto di Ludovico Vernagallo, figlio di Alvaro, che a differenza di quanto si era detto fino ad oggi non sarebbe stato un donnaiolo, scapestrato ma un ricco primogenito, erede di tutto il patrimonio del padre». Dal saggio emerge inoltre che Laura era una donna istruita, forte, ritenuta competente e quindi in grado di gestire i suoi affari già da giovanissima. «Don Cesare - motivano Badalamenti e Grasso - non aveva figli maschi, quindi lei, che era la figlia maggiore, viene cresciuta come un uomo». Il lavoro di studio inoltre ha portato anche ad una rivelazione. «Nella storia della baronessa di Carini entra in gioco un personaggio nuovo: Guglielmo Bonascontro, un avvocato che - concludono gli autori - lavorava per l’Inquisizione che, dopo la morte di Laura, viene investito dal regio Fisco come capitan giustiziere per indagare sull’omicidio della figlia primogenita di Cesare Lanza».