È stato presentato all’Oratorio di Sant'Elena e Costantino, sede della Fondazione Federico II, il libro "I mandarini rossi di Ciaculli". Domani, infatti, ricorrono i 60 anni da quella che viene ricordata come la prima strage di mafia nei confronti delle Forze dell’Ordine, avvenuta a Palermo il 30 giugno 1963: la Strage di Ciaculli, che continua purtroppo a rappresentare una delle tante tragedie impunite della memoria collettiva. A metà strada tra le memorie personali e le vicende che hanno segnato un’epoca, l’autore Marino Fardelli ripercorre la vita dello zio, giovane carabiniere e vittima innocente di cui porta stesso nome e cognome. Persero la vita sette servitori dello Stato: Eugenio Altomare, Carabiniere; Giorgio Ciacci, Soldato artificiere dell’Esercito; Silvio Corrao, Maresciallo della Polizia di Stato; Marino Fardelli, Carabiniere; Mauro Malausa, Tenente dei Carabinieri; Pasquale Nuccio, Maresciallo artificiere dell’Esercito Italiano; Calogero Vaccaro, Maresciallo Capo dei Carabinieri. Oltre all’autore, erano presenti il Presidente dell’Ars e della Fondazione Federico II, Gaetano Galvagno, il Comandante della Legione Carabinieri Sicilia, Generale di Divisione Rosario Castello, il Comandante dell’Esercito in Sicilia, Generale di Divisione Maurizio Scardino, il Presidente della Fondazione Occorsio, già procuratore della Corte di Cassazione, Giovanni Salvi e il Direttore Generale della Fondazione Federico II, Patrizia Monterosso. "È un momento importante di memoria in cui ricordiamo i nostri caduti - ha detto a margine della presentazione il Comandante della Legione Carabinieri Sicilia, Generale di Divisione Rosario Castello -. Fino alla strage di Ciaculli la mafia era un fenomeno sottaciuto, si parlava di guerra fra bande. Fu allora che si capì che c'era un’organizzazione mafiosa e si registrò un momento di riscatto delle Istituzioni. Oggi è cambiata la strategia per contrastare la mafia che va combattuta in modo sistemico". "Quando ho scritto questo libro - afferma l’autore Marino Fardelli - mi sono posto molte volte il problema se la sua stesura rispondesse ad un’esigenza ipocrita: usare la tragedia di quel Marino Fardelli per fare risaltare la verve di calamo o il percorso di vita meno alto di questo Marino Fardelli. E a quella domanda, che cento volte mi sono posto, ho trovato cento volte la stessa risposta, netta e nitida come il giudizio di un bambino su un dolce: è stato giusto farlo per mettere in guardia gli altri, non conveniente per mettere in luce me". "Il libro ha due aspetti di grande interesse - ha detto nel suo intervento il Presidente della Fondazione Occorsio, Giovanni Salvi, già procuratore della Corte di Cassazione -: "il ricordo dello zio, vittima della mafia, che l’autore non ha mai conosciuto ma che ha segnato le sue scelte di vita. L’altro aspetto da sottolineare è la ricostruzione attenta della strage di Ciaculli che oggi risulta utile a evitare che il clima di tranquillità apparente che stiamo vivendo faccia dimenticare che la criminalità organizzata continua a essere una sfida grandissima per la Sicilia". "Perpetuare la memoria oggi a 60 anni dalla strage di Ciaculli - ha detto il Direttore Generale della Fondazione Federico II, Patrizia Monterosso - ci permette di rallentare il passo per stimolare una riflessione sulla società in cui vivevamo allora e viviamo oggi, evidenziando il profondo cambiamento nel contrasto alla criminalità organizzata. Dal volume traspare il travaglio interiore con cui l’autore, familiare di una delle vittime, ha deciso di contribuire alla ricerca e alla ricostruzione della verità: per questo va dato grande merito al all’autore che rimette in ordine le immagini genuine del suo vissuto e dà finalmente voce ai sette servitori dello Stato che persero la vita". "Una telefonata anonima - scrive nella prefazione Pietro Grasso ricordando quel giorno - segnala una Giulietta abbandonata nella campagna di Ciaculli nella periferia di Palermo. Gli uomini delle forze dell’ordine ispezionano la vettura e disinnescano una carica esplosiva. Non possono sapere che ce n'è un’altra nascosta nel bagagliaio, che esplode non appena viene aperto. Così, per mano mafiosa, muoiono in un istante sette uomini. La strage di Ciaculli provocò grandissimo sdegno nell’opinione pubblica siciliana e nazionale ma sarebbero serviti molti anni e molte altre vittime perché si prendesse piena coscienza della presenza di Cosa nostra e si iniziasse veramente a combatterla". "La strage di Ciaculli - si legge nella postfazione del Generale di Divisione Pasquale Angelosanto, Comandante del ROS Carabinieri - è rimasta impunita ed è ancora una ferita aperta per le Istituzioni e per l’Arma dei Carabinieri. Ma il tempo ha dimostrato altrettanto certamente quanto disastrosa sia stata, per la mafia, la decisione di porre in atto quell'attentato, qualunque fosse l’obiettivo. Il sistema antimafia italiano, inteso sia come quadro normativo sia come struttura dell’apparato istituzionale deputato al crimine organizzato, è il risultato di un lungo processo evolutivo, scandito dalle sollecitazioni emergenziali conseguenti a eclatanti fatti di sangue, e Ciaculli è uno di questi".