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Un palermitano a Parigi: il regista Giuseppe Schillaci torna in Sicilia tra libri, cinema e teatro

Scrittore e regista di film e documentari. Giuseppe Schillaci, 44 anni, nato a Palermo, è un siciliano che ha trovato la sua dimensione a Parigi, dove vive e tiene workshop di scrittura e cinematografia, ma non perde l'occasione di tornare nell'Isola e di presentare i suoi lavori e progetti. Lo farà tra pochi giorni, sbarcando a Palermo, in occasione della riduzione teatrale del suo primo romanzo "L'anno delle ceneri" (Nutrimenti, 2010, già candidato al Premio Strega e finalista al Premio John Fante), per la regia di Dario Scarpati, che andrà in scena al Teatro S.Eugenio di Palermo il 10 e 11 dicembre.

In quegli stessi giorni, l'11 dicembre alle 19.30 al Museo del Mare di Palermo, Schillaci presenterà la nuova edizione del libro che esce nuovamente per Nutrimenti, in un reading musicale con Riccardo Serradifalco, le attrici Nunzia Lo Presti e Alice Canzonieri e la saggista Nina Mocera.

E siccome non c'è due senza tre, il 12 dicembre alle ore 19, l'artista presenterà il suo nuovo documentario "Il Modernissimo di Bologna" (già in concorso al Torino Film Festival e al PriMed di Marsiglia) al cinema Rouge et Noir, in compagnia della scrittrice Alli Traina e del musicista Gianluca Cangemi.

Un documentario che è il "racconto di un uomo che non ha saputo essere padre e che ha riversato tutto il proprio amore e la propria frustrazione nel suo rapporto con il cinema - dice Schillaci - E soltanto grazie al cinema, dunque, può raccontarsi al figlio, nella speranza di riallacciare una relazione impossibile, fatta di silenzi e incomprensione. Ma, alla fine del documentario, il narratore sembra insinuare un dubbio: e se, in realtà, egli stesso, il protagonista di questo film, non fosse mai esistito? Se la sua storia fosse soltanto une pretesto, una “falsa” vita, inventata soltanto per raccontare le vicessitudini di una sala mitica come il Modernissimo di Bologna?".

Il Cinema Modernissimo è una sala sotterranea, ferma nel tempo, nel ventre nascosto di Bologna. Alcuni suoni caldi evocano uno spazio intimo, un rifugio sentimentale contro il trambusto della città sovrastante. Echeggiano frasi di film e brani di colonne sonore, che si sovrappongono a una melodia lontana, mentre la voce fuori campo del narratore inizia il racconto. È la voce di un cineasta dilettante, sulla settantina, un habitué del Cinema Modernissimo di Bologna, chiuso ormai da anni. L’uomo si rivolge al figlio quarantenne, che vive in Francia e con cui non ha più alcun rapporto, e decide di fare questo documentario per raccontargli la sua vita, le sue scelte, la sua città. La sua storia si sovrappone pian piano a quella di questa sala cinematografica abbandonata e diventa una lettera d’amore al figlio, un modo per spiegare le ragioni della sua assenza, di chiedere perdono e raccontargli la sua identità, come in una soggettiva sospesa tra memoria e sogno.

In ottobre lo scrittore-regista era già stato a Palermo in gara a SorsiCorti, il festival internazionale di cinema corto e vino. In quell'occasione ha presentato "Zabut", vincitore del Premio al Miglior film al festival Courts en Fleche.  Il film girato a Sambuca di Sicilia racconta la storia di Nunzia, una trentenne con problemi di fertilità. Tornata nella sua casa d’infanzia in Sicilia, nell’antico quartiere di Zabut, con la complicità della madre e del suo nuovo assistente ebanista, Nunzia riscopre il desiderio, come in un arcaico rito pagano.

 

 

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