Palermo

Venerdì 22 Novembre 2024

Così Dalla Chiesa ha combattuto il terrorismo e la mafia: il libro dello storico Coco

Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa

Nella lotta al terrorismo e nella sfida alla mafia, i due fronti che lo impegnarono tra gli anni Settanta e Ottanta, Carlo Alberto Dalla chiesa adottò la linea di un innovatore. All’organizzazione da colpire oppose la capacità di sviluppare una risposta basata su conoscenze specifiche raccolte da gruppi investigativi specializzati. Metodi e strategie del superprefetto, ucciso 40 anni fa dai sicari di Cosa nostra, sono ora ripercorsi dallo storico Vittorio Coco nel libro «Il generale Dalla Chiesa, il terrorismo, la mafia», edito da Laterza. L’azione di Dalla Chiesa, osserva Coco, si organizzò in sinergia con la magistratura, che adottò gli stessi criteri costituendo anch’essa gruppi specializzati come i pool. Queste innovazioni furono accompagnate da una normativa premiale, anch’essa innovativa, che aprì la strada al «pentitismo». Per le Brigate rosse fu l’inizio della fine. Ma il fenomeno avrebbe permesso di assestare un duro colpo anche a Cosa nostra. Vengono da lì le grandi inchieste del pool Falcone e Borsellino. Il cartello «Qui è morta la speranza dei palermitani onesti», apparso subito dopo la strage di via Carini, era la testimonianza delle grandi aspettative riposte nella venuta, che era un ritorno, di Dalla Chiesa a Palermo. Ma il consenso spontaneo degli «onesti» dovette fare i conti con un fronte ostile anche all’interno degli apparati di sicurezza. Si continuava a guardare, secondo Coco, agli organismi creati dal superprefetto come a «una pericolosa eccezione, nell’ambito del mai sopito conflitto tra strumenti ordinari e straordinari». C'era poi la galassia del "garantismo», che con Leonardo Sciascia segnalava analogie con il caso di Cesare Mori, il superprefetto inviato a Palermo da Mussolini. Ma era un confronto sui metodi non certo sugli obiettivi di Dalla Chiesa verso il quale lo scrittore manteneva una «antica considerazione». E c'erano infine coloro che «difendevano interessi specifici, come alcuni esponenti della Dc siciliana compromessi con la mafia». E proprio in Sicilia l’uomo che nella lotta al terrorismo si era attirato il dubbio di tessere trame si è trasformato in colui che invece i complotti li ha subiti. Tanto da alimentare la convinzione che si decise di mandarlo a Palermo senza poteri «per liberarsi di lui e dei segreti di cui era in possesso».

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