Maresco e Scaldati, Franco e Franco: una coppia vorace e bizzarra, di lucida ferocia critica e rara onestà, impastata di uguale spirito famelico, caotico e anarchico e disegnata da un’amicizia forte. Una necessaria premessa per dire (woodinanamente) che tutto quello che avreste voluto sapere su Franco Scaldati ma non avete mai osato chiedere, potrete intercettarlo oggi - 30 settembre - a Palermo per «Settembre al Riso», interamente dedicato alla drammaturgia del regista scomparso otto anni fa. Alle 21, infatti, verrà presentato «Io e Franco», film di montaggio che Maresco ha preparato nel 2013 per «Fuori orario», per ripercorrere trent’anni di amicizia, cucendo conversazioni filmate, cortometraggi, teatro, brandelli di dialoghi avvenuti in momenti, luoghi e modi diversi. A seguire, i primi frammenti di «La notte di Agostino il topo», film di Marco Battaglia e Umberto De Paola, che firma la sceneggiatura con Eleonora Galasso, con Melino Imparato, icona di Scaldati, Domenico Di Stefano, Serena Barone. «Officina del sarto», dal nome della prima compagnia del drammaturgo palermitano, racchiude anche un convegno sulla lingua e la scrittura scaldatiana (sempre oggi, dalle 17,30), a cui parteciperanno l’assessore Samonà, il regista Umberto Cantone, i critici Roberto Giambrone, Guido Valdini, Renato Tomasino e Imparato. Una rassegna nella rassegna mentre brucia ancora – e brucerà sempre - la ferita dell’archivio di Scaldati andato a una fondazione veneziana capace di valorizzarlo, digitalizzarlo e pubblicarlo. «Il progetto l’Officina del Sarto è il doveroso tributo - commenta Samonà, assessore regionale dei Beni culturali e dell’Identità siciliana - a un grande drammaturgo che Palermo aveva colpevolmente dimenticato. Abbiamo anche pensato di pubblicare i suoi testi in una prestigiosa raccolta, per tutelare nel migliore dei modi questo patrimonio artistico e culturale dal valore inestimabile». Le parole di Maresco sono un’iniziazione per comprendere di che stoffa era fatto il loro rapporto: «Ho incontrato Franco agli inizi degli anni Ottanta e nacque subito un’amicizia che ci fece scoprire comuni passioni e letture. Lui era più grande di me e ascoltarlo fu una rinascita, la rivelazione di altri mondi e, soprattutto, di una Palermo che attraverso i suoi racconti – ricordo interminabili passeggiate notturne in una città meravigliosamente deserta – mi si rivelava inedita e fantastica, abitata da una umanità misteriosa che viveva in un “altrove” che solo Scaldati, come un potente mago, evocava con la sua poesia. Già allora questo “altrove” era per me il “sottosuolo” di Palermo e Scaldati approvava col suo sorriso ironico e insieme affettuoso, contento che, come sempre, nelle nostre chiacchierate notturne si finisse col ragionare sul nostro comune amore: Dostoevskij. Franco fu per me un Socrate che mi tirò fuori le idee e la forza per dare forma, insieme al giovanissimo Daniele Ciprì, a un cinema che fosse in qualche modo la continuazione del suo teatro, con la differenza che noi avremmo portato alle estreme conseguenze il pessimismo apocalittico che pure c’era nell’universo scaldatiano, riscattato però sempre da una qualche speranza “religiosa” che noi scartavamo, almeno nei primi anni, a favore di un sentimento rabbiosamente grottesco senza speranza di salvezza. Il “Pozzo dei pazzi” fu per me l’illuminazione: Franco mi indicava la strada e i segreti per dare vita e ordine al caos che fino ad allora aveva agitato inutilmente la mia testa». «Io e Franco» è dimostrazione di eterna gratitudine ma, soprattutto, testimonianza della grandezza di un poeta.