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"La rivolta del sette e mezzo": teatro di strada, convegni e concerti a Palermo - Il programma

PALERMO. Prende il via domani 16 settembre “La Rivolta del Sette e Mezzo-La Comune di Palermo”, una settimana di grande respiro storico, culturale e artistico per ricordare la rivolta del Sette e Mezzo di Palermo proposta dalla redazione Antudo.info con la collaborazione di: Fondazione Ignazio Buttitta, Museo Internazionale delle Marionette Antonio Pasqualino, Assessorato dei Beni culturali e dell'Identità siciliana, Centro studi Zabut, TMO- Teatro Mediterraneo Occupato, Simenza- cumpagnia siciliana sementi contadine, Consulta per l'indipendenza del popolo siciliano.

Dal 16 al 22 settembre, infatti, Palermo sarà animata da teatro di strada, concerti, convegni, dibattiti, mostre fotografiche, spettacoli, cortei per ricostruire un pezzo importante ma spesso volutamente adombrato della nostra storia, la rivolta del Sette Mezzo scoppiata il 16 settembre del 1866 a Palermo, e ritrovare il contatto con le nostre radici, la nostra cultura e le nostre tradizioni.

“Riappropriarci di quell’insurrezione, riprenderci Palermo per sette giorni – con il teatro di strada, i convegni, i dibattiti, le manifestazioni e i cortei – sarà una rappresentazione della rivoluzione che è stata. E magari, di quella che verrà.
Palermo è fiera delle sue rivoluzioni. Le aspetta, le prepara”.

Di seguito un testo redatto dalla redazione stessa che ricostruisce con piglio letterario quella storica giornata. 16 settembre 1866, Palermo insorge contro lo Stato d’Italia. Le speranze del 1860 sono andate deluse, i proclami della dittatura garibaldina – «Noi siamo con voi, e non chiediamo altro che la liberazione della vostra terra» – sono ormai echi nel vento. Sono tornati gattopardi e cappelli a comandare, a arricchirsi, anche delle terre confiscate alla Chiesa. Lo Stato d’Italia, con l’aumento dell’esazione fiscale e il corso forzoso dei biglietti di banca che ha fatto lievitare i prezzi, ha imposto anche la coscrizione obbligatoria: le braccia più forti sono sottratte al lavoro. All’alba del 16, centinaia di contadini delle campagne vicino a Palermo, armati e comandati per gran parte da ex capisquadra dell'impresa garibaldina, assalirono la città. In un niente, Palermo insorse: ai contadini si era aggiunto il popolo minuto, artigiani dei mestieri, operai, donne, scatenando una rivolta che parse indomabile. Presero il Palazzo di Città, costruirono barricate, assaltarono Poste e Delegazioni di Polizia. Ai repubblicani, che avevano scatenato la rivolta – riuscendo dove avevano fallito l’anno precedente – si unirono preti e monache, frati e suorine: i conventi e i campanili divennero luoghi dei rivoltosi o dove si curavano i feriti. Viva la Repubblica, si gridò. Viva Santa Rosalia, si gridò.
Il Sindaco, la Giunta, generali e benestanti, aristocratici e borghesi fuggirono verso il Palazzo Reale da dove chiesero rinforzi, l’intervento della Marina e del regio esercito.

Arrivarono le navi, e bombardarono a mitraglia e polvere, compiendo stragi e sventrando la città. Sbarcarono i soldati, ma vennero respinti, più volte. Per sette giorni, Palermo resistette. Poi, arrivarono altre navi e vomitarono migliaia e migliaia di militari. Palermo capitolò. La repressione fu brutale: bisognava punire chi aveva osato ribellarsi, cancellarne perfino la memoria.

L’insurrezione del 1866 non ha più i caratteri delle rivoluzioni nazionali: la Nascita della Nazione, l’Italia, è già accaduta. E non ha ancora i caratteri delle rivoluzioni sociali. E non perché la sua economia del capitale fosse “arretrata”; i Fasci siciliani, con le loro Leghe, le Camere del Lavoro, le lotte per un giusto salario e la distribuzione delle terre, la costruzione, insomma, del socialismo e del movimento operaio – un’indicazione che verrà da qui: la Sicilia è fiera delle sue battaglie per la democrazia e il lavoro – è ancora da venire.

In questo tempo tra il “non più” e il “non ancora” scoppia il 1866, una rivoluzione “urbana” – Palermo è una metropoli europea – ma dove la campagna, il “rurale”, la Provincia, hanno un ruolo determinante. È, insomma, un’insurrezione di popolo – proprio come sarà la Comune di Parigi – contro lo Stato, e la forma propria che esso ha assunto, la Sicilia sarà sempre come un “territorio d’oltremare” – «i Regi dominii al di là del Faro» – da riconquistare e ricondurre all’ordine; ogni rivolta sarà malandrina e brigantesca contro la legalità della proprietà e dello Stato.

Il 1866 di Palermo non vara nuove Costituzioni, non proclama nuovi assetti istituzionali, non declama nuove libertà. Non ha poeti, non ha cantori, non ha fotografi, non ha pittori. Il 1866 prende e toglie. Prende le ricchezze dove sa che sono accumulate, e le distribuisce. Per sette giorni, uomini e donne e ragazzi, organizzano le barricate, si danno i cambi, si allertano, respingono i tentativi dell’esercito italiano, cucinano e mangiano, tra processioni, urla, suoni di banda e di fucile. Sparano. Sperano che altrove scoppino insurrezioni, in Sicilia, in Italia. Resteranno soli. Soli contro tutto lo Stato d’Italia.

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