PALERMO. È stato un artista che ha giocato con la memoria rielaborandola.
Le sue opere sono state esposte in varie mostre nazionali e internazionali, facendo conoscere scorci e aspetti della Sicilia nel modo.
È questa l'eredità culturale che lascia Giusto Sucato, pittore e scultore di Misilmeri, deceduto stamattina all'età di 65 anni.
«Quando vedo un reperto abbandonato - raccontava - già immagino come lo modificherò». E così chiodi, pezzi di ferro, arnesi del lavoro agricoli, aratri e zappe, sono diventati sculture o quadri. Alla rinfusa in un caleidoscopio di colori e forme hanno fatto capolino pesci in alluminio e dipinti definiti antropologici delle sue prime produzioni che analizzavano e bloccavano per sempre gli ambienti rurali di un tempo. In una ricerca che fissava su tela le pareti scrostate interne ed esterne e i tetti di un ambiente del secolo scorso dopo gli anni Cinquanta. E ancora le sculture a forma di sedia dedicate ad altri grandi artisti del passato.
Sucato si innamorò da giovane delle opere di Pablo Picasso.
Al grande artista spagnolo diceva di essersi sempre ispirato. Poi lentamente le sue creazioni hanno lasciato spazio alla ricerca sulla materia e sull'analisi degli oggetti della civiltà contadina. Sucato è stato un autodidatta: elaborava di continuo le sue produzioni, che lo hanno portato negli anni a farlo conoscere, anche attraverso una serie di mostre. Un'analisi che ha sempre condotto dalla provincia, quei luoghi definiti una volta hinterland. Giusto amava ricordare episodi passati della sua vita: quando, ad esempio, incontrava Renato Guttuso alla Vucciria dove, negli anni '70, Sucato, gestì un locale per la vendita di vino, sfuso. Agli inizi degli anni '80 intensificò, la sua collaborazione con il critico d'arte Francesco Carbone, scomparso, il 23 dicembre 1999. Insieme a lui lavorò alla realizzazione del museo etno-antropologico 'Godranopoli', ospitato in una palazzina di 240 metri quadrati con una pinacoteca d'arte contemporanea e una biblioteca di storia e di cultura siciliana. Aprì nel 1983. Poi la struttura chiuse dopo la morte di Carbone.
«Certo - si rammaricava Sucato - sarebbe stato importante che avesse continuato con le sue esposizioni a documentare la civiltà contadina e pastorale». E lui ne sarebbe stato il naturale 'erede' nel gestirlo.
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