PALERMO. Se ad avere i dubbi è soprattutto la regista, allora siamo proprio messi male. Eppure Emma Dante ha deciso di mettersi in gioco e, soprattutto, far tutto da sola. Non tanto testo e regia, a cui si è abituati, ma le domande sul teatro che si pone, che le appartengono come anche quelle sulla validità dell'uso del dialetto in scena o sulla veridicità di un copione. Ecco, questo Io, Nessuno e Polifemo non è un'intervista impossibile, ma una seduta di psicoanalisi in cui non c'è la paziente ma neanche il dottore. Lo spettacolo - prodotto dallo Stabile di Palermo che così ha aperto al Biondo la nuova stagione e lo ospiterà, dopo Vicenza e Milano, fino al 2 novembre - è tutto nero, poi è bianco, non esiste il grigio: Polifemo non è più il ciclope antropofago - anzi i poveri compagni di Ulisse sono ridotti a marionette disarticolate nelle mani delle tre ballerine, quasi un fisico coro greco - ma un poveraccio circospetto, la cui vita in simbiosi con la natura è stata distrutta da quell'azzeccagarbugli di Ulisse. La verità non esiste, perché il suo doppio è più interessante: l'uso di un grondante (e bello) dialetto napoletano trasferisce la diatriba dinanzi ai Campi Flegrei, Emma Dante regge i panni dell'intervistatrice che evoca fantasmi e, imperterrita, li interroga. Siamo lontanissimi da certe prove di regie del passato, ma si tratta di una prova autonoma che non si appiglia a nulla di precedente, e forse proprio per questo va apprezzata; non c'è la regista-terrorista che disarma il teatro, la critica al Sistema resta in controluce (nascono da qui le domande?), anche la Dante in scena funziona poco e l'ironia di certe battute - che il pubblico mostra di apprezzare moltissimo - fiorisce dentro un testo che ha qualche problema, e si perde tra le note elettroniche e i virtuosismi vocali abbastanza invadenti di Serena Ganci.