
Tutti, credo, abbiamo sperato in un qualcosa di buono dall’incontro Trump-Putin, al di là delle nostre inclinazioni politiche. E tutti siamo rimasti delusi, è inutile negarlo. Almeno una tregua provvisoria, come auspicato dallo stesso presidente Usa qualche attimo prima dell’evento. Niente.
Perfino quegli applausi indirizzati dall’americano all’arrivo del suo omologo russo, certo non facilmente digeribili dal punto di vista di chi ha a cuore il popolo ucraino e la consapevolezza delle centinaia di migliaia di morti causati in entrambi i paesi dalla guerra intentata da Putin, si potevano pure tollerare in vista di un risultato in vista della pace, magari minimo. E invece ancora niente. A voler essere degli sfegatati ottimisti, si potrebbe prendere atto che comunque un dialogo si è riattivato. Il punto, forse, è però che la pace, quella giusta e duratura che soprattutto gli europei chiedono, la fanno di regola gli acerrimi nemici che vogliono smetterla. Ieri, invece, è sembrato assistere a un incontro tra vecchi amici che vorrebbero ricominciare.
Ora, in tanti reclamano a gran voce l’entrata in campo dell’Europa in un negoziato diretto, a fianco dell’Ucraina, e forse un ruolo nell’impresa potrebbe svolgerlo l’Italia. Maggioranza e minoranza, però, non risultano proprio omogenee su questo e altri temi di politica estera. Non sarebbe allora il momento di aprire un tavolo di politica estera bipartisan che, senza alterare gli equilibri di governo, dia tuttavia la possibilità di dare voce a una verosimile e solida maggioranza trasversale sulle più urgenti questioni di politica estera, dalla guerra in Ucraina all’incessante massacro a Gaza? Se servisse, anche un minimo, perché non provarci?
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