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Festino di Santa Rosalia

«La religione non può essere causa di contrasti e guerre»

Il Festino come momento di fratellanza, di dialogo, di pace nel nome di Rosalia. Perché «siamo fatti per stare con gli altri, non per rimanere individui isolati, magari tristi, rancorosi, aggressivi». Ha esordito così Corrado Lorefice, accogliendo in arcivescovado i rappresentanti delle altre religioni. E a loro ha rivolto un messaggio di accoglienza, contro ogni divisione.

È un messaggio molto politico, se così si può dire, questo di Lorefice. Questo per lui «è tempo di coraggio non di equilibrismi o di mezze parole». Parla di una città in sofferenza. «Il disagio aumenta e il tessuto sociale pare sfaldarsi. Aumenta la violenza di strada, fino a questi giorni. Soffre per la crisi della sanità e la precarietà e insufficienza delle strutture ospedaliere; per il mancato diritto di tutti alla salute. Questo vuol dire che adesso Palermo ci chiama. Palermo ci chiede, in nome della sua storia di bellezza, di grandezza, di accoglienza, di non rassegnarci ma di rendere l’esperienza religiosa delle nostre comunità un luogo di consapevolezza e di desiderio collettivo di cambiamento».

«Oggi il contesto locale e planetario vorrebbe spingerci verso una lotta di tutti contro tutti. Noi qui stamattina, nel nostro stesso ritrovarci, vogliamo dire il contrario: l’incontro autentico, il dialogo nutriente, la condivisione generosa sono la strada che crea e fa crescere l’umanità nella cornice del Creato, in una integrazione intima e necessaria».

Parole in linea col sentimento del tempo. Anche gli abbracci fra religiosi che professano fedi diverse «ha un valore simbolico enorme», ha spiegato l'arcivescovo. Il quale è stato chiaro su un punto, incontrando anche il consenso delle altre parti, quello che le religioni non possono essere strumento di conflitto.

«Le tensioni internazionali, gli scenari di guerra, le contrapposizioni frontali, le spinte nazionalistiche ci interpellano profondamente. Le religioni sono chiamate in un tempo così drammatico a una scelta di campo, difficile ma inevitabile. Di fronte alle tentazioni integraliste, alla pretesa dei politici, dei governi, di rendere le nostre fedi vessilli di guerra, di separazione, di odio; di fronte al desiderio di asservirle o di interpretarle come fonte di conflitto, come emblemi di identità mortalmente contrapposte; di fronte al rischio di ridurle – le nostre Religioni – a strumenti dei poteri di questo mondo, noi oggi siamo qui per dire no. Siamo qui per ribadire che la Parola di cui siamo indegni portatori non è fatta per la guerra, non può essere usata contro l’altro».

Parla di «Vangelo sfigurato e contraffatto negli Stati Uniti d’America. Il cristianesimo viene ridotto a vessillo del make america great again. Critiche allo Stato di Israele, «da non identificare con l’intero popolo ebraico», per «un’interpretazione integralista della Bibbia, una concezione politica e quasi tribale dell’Israele di Dio, sta provocando una delle catastrofi peggiori della storia recente, sta sterminando un popolo, il popolo palestinese con una determinazione omicida che lascia sbigottiti». E che fa da controcanto «all'orrore fanatico» del 7 ottobre.

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