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Lo Manto, il re delle frodi Iva: così la mafia investiva milioni con la camorra

Dal clan della Kalsa ai Nuvoletta di Marano di Napoli: tra intercettazioni e alleanze segrete, l’inchiesta Moby Dick ricostruisce la rete internazionale dietro il broker palermitano arrestato a novembre

Lo chiamavano Tony, Toni o Toto Toto, soprannomi che usavano quelli con cui faceva affari, un segno di confidenza e di potere costruito in decenni di relazioni sotto traccia. Antonio Lo Manto, palermitano della Kalsa, è in carcere dal novembre dell’anno scorso per la maxi frode sull’Iva smascherata con l’operazione Moby Dick, che aveva portato a 47 arresti e sequestri per oltre 650 milioni di euro.

Era stato arrestato nel primo troncone dell’inchiesta, adesso il suo nome compare pure nel secondo, stavolta come indagato, a conferma del suo ruolo di personaggio chiave nella gestione dei collegamenti tra i clan mafiosi e alcuni imprenditori compiacenti. Nel nuovo filone sono state eseguite undici nuove misure cautelari confermando che il sistema delle società cartiere e delle fatture false non si era mai interrotto e anzi continuava ad alimentare flussi di denaro da reinvestire in società e aziende in Europa orientale e nei paesi arabi.

Secondo la Procura europea, Lo Manto sarebbe stato il mediatore tra il livello internazionale dell’organizzazione e quello nazionale, grazie ai suoi legami strettissimi con la camorra e soprattutto, dal 2012 in poi, con il potente clan dei Nuvoletta di Marano di Napoli. La figura del «broker» palermitano emerge anche dalle nuove intercettazioni, contenute nell’ordinanza, in cui lui stesso spiega che «se si è amici dei Nuvoletta qualsiasi controversia si compone amichevolmente», mentre se si diventa nemici «devi fronteggiare un esercito». Che Tony fosse ormai uno di famiglia si intuisce dalla conversazione registrata in cui Giovanni Nuvoletta, arrestato qualche giorno fa, si rivolge a lui con toni particolarmente affettuosi: «Io e tu siamo legna tagliata dalla stessa acacia! Ormai sono quasi vent'anni che siamo fratelli. È inutile dirlo Tony, sai tutte cose, la vivi casa mia. Sei un familiare per noi. Mia madre ti tiene come un vero nipote».

Seppure per anni immune da condanne definitive, Lo Manto viene considerato dagli investigatori «un personaggio di primo piano nel panorama della mafia imprenditrice». Nelle pagine dell’indagine sfociata nel primo blitz, oltre al rapporto privilegiato con il boss Lorenzo Tinnirello, gli inquirenti citano la sua amicizia con i fratelli Antonio e Sandro Capizzi, figli del boss di Villagrazia, Benedetto. Ma era stato proprio Lo Manto, captato dalle microspie piazzate dalle forze dell’ordine, a spiegare di avere abbandonato la criminalità da strada per riconvertirsi nel business più sicuro delle attività imprenditoriali. Il suo approccio, basato su un mix di affari e minacce, avrebbe permesso di esportare il metodo mafioso anche nell’evasione fiscale internazionale: «Un poco per superstizione - si vantava Lo Manto - sono stato fortunato fino ad ora... non posso più sfidare la mia fortuna! Allora la mia mafia la trasformo in imprenditoriale, punto!». E a dargli atto di queste sue «capacità» erano gli stessi esponenti della camorra: «Andare da Palermo a Napoli - diceva Cosimo Marullo, anche lui arrestato nella seconda tranche dell’operazione Moby Dick - e aderire in una città a un servizio con persone che non sono della tua città non è da poco. Quindi avere rispetto è... come ti voglio dire… vuol dire che sei di spessore».

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