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Pagliarelli, l'inchiesta su droga e telefonini. Le due guardie carcerarie a disposizione dei boss

Per la Direzione distrettuale antimafia gli agenti finiti ai domiciliari si erano resi complici «dell’organizzazione che gestiva droga e telefonini a Pagliarelli garantendo coperture»

Quelli che erano in cella lo chiamavano «u zuoppu», lui in cambio diceva di considerarli «come fratelli». L’altro, che sarebbe stato compromesso quanto lui, era visto come un uomo «di fiducia»: agivano in tandem, spartendosi consegne, incarichi, percentuali, e quando uno mancava, il secondo prendeva il controllo della situazione.

Paolo Francesco Cardinale e Andrea Giuseppe Corrao, entrambi agenti della polizia penitenziaria in servizio al carcere di Pagliarelli, sono finiti ai domiciliari con l’accusa di corruzione e accesso indebito di dispositivi di comunicazione.

Per i magistrati della Direzione distrettuale antimafia si erano messi «a disposizione dell’organizzazione» che gestiva droga e telefonini tra le sezioni di alta sicurezza garantendo coperture, passaggi sicuri durante i turni e soprattutto l’introduzione clandestina di oggetti vietati.

Secondo gli inquirenti questo traffico avrebbe garantito introiti altissimi: il compenso era sempre in contanti. In un caso, duemila e 800 euro per tre telefonini, una cifra in linea con le tariffe gonfiate praticate nella struttura detentiva: le sostanze stupefacenti, hashish, marijuana, cocaina e perfino crack, venivano invece vendute fino a 60 euro al grammo, cioè anche dieci volte in più rispetto ai prezzi di mercato nelle piazze di spaccio della città.

Il meccanismo era perfettamente rodato: «Corrao e Cardinale agivano di comune accordo - scrive il Gip Claudia Rosini - nella consapevolezza dei rispettivi ruoli e sulla base di un pactum sceleris stipulato con i detenuti promotori e gestori del traffico». Non sempre, però, si trattava solo di soldi.

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