Il presidente della Conferenza episcopale siciliana e vescovo di Acireale, Antonino Raspanti, con questa intervista interviene nel dibattito lanciato dal Giornale di Sicilia, che con un editoriale del direttore Marco Romano ha denunciato la percepibile disattenzione a livello nazionale riguardo al delicato tema della lotta contro la mafia.
Presidente Raspanti qual è il suo giudizio su quel che sta avvenendo?
«Concordo con l’editoriale del direttore Romano, da tempo in dibattiti pubblici ho messo in evidenza il calo dell’attenzione a livello nazionale sulla lotta alla mafia. Vi è chi ha pensato che con l’arresto di Matteo Messina Denaro fosse stato già fatto tanto, se non tutto. In realtà, non è così e tanto vi è ancora da fare. I clan mafiosi in Sicilia e anche in altre regioni italiane non si mettono più in mostra - come in passato - con molti omicidi e con stragi, per evitare di attirare l’attenzione su di loro. Questo non vuol dire che siano meno pericolosi e insidiosi. Si dedicano ai loro affari. Le mafie - come dicono le Procure - si sono riorganizzate, hanno cambiato modalità di azione, utilizzano sistemi più elaborati, anche nel mondo della finanza».
Sembra che vi sia una minimizzazione sul potere dei clan mafiosi e sulla loro capacità di trasformarsi. Che ne pensa?
«Sotto questo punto di vista c’è una sottovalutazione. Vi sono cambiamenti nelle organizzazioni criminali sul piano dei traffici della droga, adesso le persone con soli 5 euro possano acquistare nuove droghe. Questo aumenta la forza economica espansiva delle organizzazioni criminali che ampliano i loro mercati illegali. Inoltre, come hanno sostenuto diversi esperti, le mafie si stanno evolvendo anche sul piano delle tecnologie digitali, operano anche nel dark web. Le mafie stanno mutando aspetto sul piano finanziario, economico e digitale, più volte è stata messa in evidenza la questione del ruolo dei colletti bianchi. Quello che non è cambiato è il Dna mafioso, che persiste, ponendo pericoli seri. Guai a pensare di derubricare la mafia a forme di delinquenza qualunque. Lo Stato ha ottenuto tanti risultati positivi, ma la battaglia contro le mafie è in corso ed è difficile. Ogni forma di sottovalutazione, a livello nazionale e regionale, è un errore».
Disagio sociale e forme di estrema povertà in diverse aree del Sud e di grandi metropoli italiane sono un vantaggio per le mafie?
«Sì, certo, è sempre stato così e lo è ancora. In generale, ovviamente, perché vi sono stati e vi sono casi di tante persone che scelgono la via del lavoro, con umiltà e onestà. Purtroppo ve ne sono tante altre che non resistono alle sirene del male e attratte da facili guadagni diventano manovalanza del potere mafioso. Scelte che vanno contro la legalità, contro il Vangelo, contro lo spirito del Cristianesimo. E va anche detto che leggendo dei tanti colpi inferti dallo Stato alle mafie, emerge come le vite di tanti che diventano manovalanza dei boss vengano distrutte. E anche tanti boss vengono catturati e imprigionati. È giusto che i giovanissimi sappiano che la via della mafia porta alla distruzione delle esistenze. Vi è una grande questione culturale, bisogna insistere nelle scuole e in tutti i luoghi pubblici sul maggior grado di educazione e sensibilizzazione su questi temi. Solo la diffusione della cultura della legalità può aiutare la società a difendersi in maniera efficace dalle insidie delle mafie e a creare più anticorpi. Dalle scuole alle Università, dalle istituzioni governative al mondo del volontariato, serve una nuova e più efficace azione sinergica. In questo senso un ruolo molto importante lo giocano i media, che possono contrastare il calo dell’attenzione su questi argomenti».
Gli attacchi di una parte della politica e di altri addetti ai lavori contro i magistrati non rischiano di indebolire l’azione di contrasto?
«Certo, se i corpi dello Stato e le grandi entità di una società – anche i partiti e il mondo delle professioni - non riescono ad avere un minimo di linguaggio moderato, non dico uniforme ma abbastanza unitario su alcuni valori fondamentali della democrazia e dell’equilibrio dei poteri, tutto rischia di sgretolarsi. Occorre fiducia tra i corpi dello Stato. La democrazia non è solo un insieme di procedure ma di valori».

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