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Palermo, i familiari di un aviere deportato nei lager nazisti ottengono un risarcimento

L'avvocato Alessandro Palmigiano

La terza sezione civile del tribunale di Palermo, giudice Cinzia Ferreri, ha accolto la domanda di risarcimento presentata da Giuseppe e Guglielmo Salamone, figli di Nicolò Salamone, militare italiano internato nei lager tedeschi tra il 1943 e il 1944. Assistiti dallo studio legale Palmigiano & Associati, i familiari del reduce avevano avviato l’azione giudiziaria nel giugno 2023, in prossimità
della scadenza prevista per le istanze di risarcimento legate ai crimini di guerra nazisti, dopo l’istituzione da parte dello Stato italiano, nel 2022, di un fondo dedicato alle vittime e ai loro eredi.

Nicolò Salamone, all’epoca Aviere Scelto dell’Esercito Italiano in servizio in Albania, fu catturato nel 1942 dagli inglesi e, in seguito a uno scambio di prigionieri, deportato nei lager tedeschi. Internato inizialmente nello Stammlager IV F a Hartmannsdorf-Chemnitz e successivamente nello Stammlager VI J, fu costretto dai nazisti al lavoro coatto all’interno della Krupp, una delle più potenti industrie belliche tedesche dell’epoca. Il militare fu sottoposto a ventisette mesi di sevizie, fame e schiavitù. Dopo lunghi mesi di silenzio e disperate ricerche da parte della famiglia, rientrò in Italia solo nell’aprile del 1946. Trentanove anni dopo, nel 1986, lo Stato italiano lo insignì della Croce al merito di guerra per "internamento in campo di concentramento tedesco».

Il tribunale ha riconosciuto come imprescrittibili, anche in sede civile, i crimini contro l’umanità, condannando il ministero al pagamento di 50.000 euro in favore degli eredi Salamone tra indennizzo e spese legali. Tuttavia, la vicenda legale non è ancora conclusa. Il ministero dell’Economia ha impugnato la sentenza, ritardando così l’erogazione del risarcimento. «È un diritto appellare una sentenza - dice l'avvocato Alessandro Palmigiano - ma in una situazione così particolare sorprende che si scelga di impugnare una decisione tanto equilibrata, invece che riconoscere il dovuto a una famiglia che attende giustizia da oltre mezzo secolo».

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