Mafia a Palermo, il «cavallo di ritorno» al nipote e il boss decise la punizione
Era la notte tra il 29 e il 30 maggio del 2023 quando la Smart Fortwo di Tommaso Spadaro, stesso nome del nonno Masino storico boss della Kalsa, sparì dalle strade di Casteldaccia. Un furto come tanti, almeno in apparenza. Il giorno dopo la denuncia ai carabinieri, il fatto era già noto negli ambienti di Cosa nostra della città. Recuperare l'auto del nipote era diventato un punto d'onore per lo zio Francesco, detto Francolino, 61 anni, uomo di rispetto che subito dopo la sua ultima scarcerazione, avvenuta il 12 agosto del 2017, aveva riallacciato i contatti con i personaggi di spicco del panorama mafioso palermitano. Non ci mise molto a muoversi. Prima contattò Giuseppe Di Maio, detto «U Bloccato», esponente di vertice della famiglia di Palermo Centro; poi si era rivolto a Settimo Turturella, affiliato al mandato mafioso di Brancaccio, arrestato nel marzo dell’anno scorso per associazione mafiosa ed estorsione. Bastò qualche telefonata e il quadro fu chiaro: i ladri, ignari di chi avevano di fronte, pretendevano soldi per riconsegnare la macchina. Un affronto inaccettabile per Spadaro che riteneva che occorresse punire gli autori dello sgarro altrimenti non avrebbero perso il vizio di commettere certe azioni. Filippo Marino, cugino e persona di fiducia di Francolino, aveva raccontato di aver ricevuto la visita di Settimo Turturella che gli aveva riferito tutto nei dettagli: «Chiddi ci spiaru... ma tu lo sai chi sono?». Il tono era sorpreso: Marino non riusciva a credere che qualcuno avesse avuto l'ardire di chiedere denaro per riportare la Smart del nipote di Spadaro chiedendo 2 mila e 500 euro di riscatto. Anche Lorenzo D'Aleo, altro fedelissimo di Francolino, aveva partecipato all’incontro all'hotel Villa Archirafi di via Lincoln, considerato una delle basi operative del clan, intervenendo per sapere se quei «ragazzini» si fossero «rivolti in malo modo a lui?», cioè al giovane Tommaso. Spadaro senior aveva spiegato che il fratello Nino gli aveva riferito come il padrino di battesimo di suo figlio - una figura rispettata ma misteriosa - gli aveva suggerito di mettere al sicuro l’auto e solo in un secondo tempo di decidere come procedere con chi aveva osato fare la richiesta del cosiddetto «cavallo di ritorno». Marino volle sapere chi fosse questo «padrino» ma Francolino abbassò la voce riferendosi a «U Tignusu», uno di quelli che si erano mossi con metodi diversi dai suoi. Nel frattempo Turturella continuava a cercare di risolvere il problema ma, nonostante tutto, la Fortwo non era saltata fuori. «Ci vogliono 2500, 3000, 3500 euro», aveva fatto sapere agli altri ma Marino aveva tagliato corto: «Sono due fanghi... e se Settimo lo saprà, li butta!». Francolino convocò il fratello Nino e lo mise in guardia dal comportamento dei due «cornutieddi» aggiungendo che dovevano essere castigati a dovere: «Ieri sera ho mandato a chiamare Totò! Gli ho detto: Ti ricordi...? Per forza! Questi due cornutieddi così... hai fatto bene! Così imparano... magari gliele dovresti fare tu certe cose! Così si levano il vizio». Inoltre aveva rivelato al fratello che le persone coinvolte nel furto dell’autovettura del figlio frequentavano Ballarò dove c’era la centrale dei furti: «Con chi sono, sempre con gente di Ballarò? Chiddi picciuttieddi, qualche altro... quelli la sera escono e si danno delle arie». Alla fine Spadaro aveva chiamato un tale «Zio Fra» che aveva risolto la vicenda senza sentire ragioni: «Digli che porta la chiave», aveva intimato all’intermediario dei ladri, i quali - capendo di non avere altra via d'uscita - si erano consegnati spontaneamente. «Quando hanno visto che c'erano porte chiuse, pigghia e iddu vinni a bussare», aveva confermato Francolino parlando con i suoi. L'auto venne ritrovata due giorni dopo, il 31 maggio, ma nei verbali delle forze dell’ordine non è chiaro se ci sia stato un pagamento, anche parziale, per la sua restituzione.