Il maxi blitz antimafia a Palermo, dopo la cattura di Auteri l’avvento del «Gabibbo»
L’arresto del latitante Giuseppe Auteri, il 4 marzo del 2024, impone ai vertici di Porta Nuova un cambio di leadership. Al vertice del mandamento, secondo la ricostruzione degli inquirenti, arriva Tommaso Lo Presti, classe 1975, detto il Gabibbo, scarcerato da pochi mesi. Quest’ultimo, secondo l’accusa, «forte del suo spiccato prestigio criminale, impone subito il suo diktat, tra l’altro riducendo gli importi corrisposti ai detenuti a titolo di mantenimento ed assumendo pieni poteri nel settore del traffico degli stupefacenti». Nelle pagine dell’inchiesta e del fermo firmato dal procuratore Maurizio de Lucia, dall’aggiunto Marzia Sabella e da cinque pm, si fa riferimento al periodo successivo all’arresto del reggente Tommaso Lo Presti il lungo, in cui Auteri e il Gabibbo, i due capi che si sono susseguiti, «hanno esercitato le prerogative di comando avvalendosi dei medesimi rappresentanti sul territorio, individuati in Stefano Comandè e Filippo Maniscalco. E subito sotto in via gerarchica, tra gli altri, Giuseppe Campisi, Francesco Zappulla, Vincenzo Selvaggio e Cristian Cinà». Al loro fianco, avrebbe agito «un’ampia pletora di altri soggetti, rigidamente organizzati e fidelizzati alla causa mafiosa. La nuova gestione, in continuazione rispetto a quella precedente, si è caratterizzata per il ricorso frequente alla violenza, in special modo - ma non esclusivamente - nell’ambito della droga». In base alla ricostruzione della magistratura, «il sodalizio ha deciso e messo in opera numerosi gravi pestaggi, ordinati per far sì che nelle piazze di spaccio nessuno trattasse droga non veicolata dal mandamento e che nessuno si occupasse della negoziazione di stupefacenti - ai vari livelli (pusher, capopiazza, fornitore) - senza essere stato prima autorizzato e senza aver versato la sua quota di denaro a favore delle casse sociali. L’articolazione mafiosa di Porta Nuova, forte del sostegno di un numero elevato di sodali, ha mantenuto il tradizionale controllo del territorio, imponendo estorsioni a tappeto agli imprenditori del centro storico e disciplinando le tradizionali attività delle scommesse clandestine e della riffa». Attività che fanno confluire soldi in cassa e che servono a esercitare il controllo sul territorio. Ma assieme a questi affari, gli uomini del mandamento si sarebbero interessati anche alle gestione di attività lecite, «talvolta imponendosi con la violenza, altre volte con la minaccia esplicita. Così, l’associazione mafiosa ha anche gestito e autorizzato gli insediamenti produttivi (aperture di nuovi negozi o cessione di esercizi già operanti) e le compravendite immobiliari». Così come vuole la tradizione mafiosa, gli esponenti delle famiglie sono intervenuti anche per risolvere i dissidi tra privati ed hanno deciso la sorte delle dispute applicando criteri legati alla convenienza criminale o ai legami familiari, sistematicamente prevalenti sui criteri di giustizia sostanziale. Ma allo stesso tempo, «si è registrato l’incremento di iniziative violente e di atti di disordine urbano che hanno anche destato forte preoccupazione nella popolazione. Rispetto a tali episodi, talvolta anche culminati in omicidi o in scene di guerriglia urbana, il sodalizio non risulta aver provato ad esercitare un serio ruolo di contenimento, anzi, al contrario, si è sovente dimostrato indifferente, nella consapevolezza che tra i soggetti coinvolti vi erano quasi sempre esponenti delle principali casate mafiose o comunque persone “amiche” e che le armi utilizzate erano il più delle volte passate dalle mani degli associati. La recrudescenza della violenza è stata sovente “cavalcata” da Cosa nostra, che ha così alimentato il proprio potere, approfittando della intimidazione ingenerata nella popolazione». A tal riguardo, vengono citati gli omicidi di Giuseppe Incontrera, ex cassiere del mandamento, ucciso a colpi di pistola alla Zisa da Salvatore Fernandez il 30 giugno del 2022, e di Rosolino Celesia, commesso il 21 dicembre 2023 nella discoteca Notr3.