Liste d’attesa infinite, primi posti liberi a distanza di mesi, se non anni, proteste e contestazioni da parte dell’utenza, polemica politica infuocata, dimissioni e siluramenti. E intanto un gruppo di otto impiegati del Policlinico avrebbe gestito a proprio piacimento le assegnazioni dei posti per le visite specialistiche: in perfetta tranquillità, come se nulla fosse, avrebbero inserito persino i morti nelle liste d’attesa (c’è persino un caso di una signora scomparsa nel 1999), allo scopo di bloccare i posti per amici e parenti di colleghi e altri raccomandati. Medici compiacenti avrebbero consentito di avere priorità che non sarebbero spettate. E il gioco era fatto, le liste truccate, chi doveva aspettare avrebbe atteso anni, i raccomandati facevano in fretta. Adesso per questi otto dipendenti dell’azienda ospedaliera (scoperti grazie al sistema PagoPa e denunciati dallo stesso ex commissario delle cliniche universitarie Alessandro Caltagirone), si avvicina il possibile processo. Sono 132 gli episodi che la Guardia di finanza ritiene accertati nell’arco di quattro anni, tra il 2019 e il 2023, tra favoritismi e soprattutto reati di falso e di accesso abusivo al sistema informatico della pubblica amministrazione. Se riconosciuti colpevoli, gli attuali indagati rischiano pesanti condanne. Tre anni di accertamenti coordinati dalla Procura, intercettazioni e riscontri alla ricerca di un sistema truffaldino che potesse far emergere meccanismi corruttivi, che però non sono venuti fuori. Le vere liste d’attesa dunque sarebbero state gestite in forma esclusiva dagli otto dipendenti, Patrizia Rufola; Andrea Li Volsi; Antonio D’Amico; Filippo Fazzelli; Sandro Calderone; Clotilde Guarnaccia; Rosetta Sottile; Fabiola Citarda, che avrebbero garantito, chi più e chi meno, una corsia preferenziale aggirando il sistema di prenotazione ufficiale e gravando ancora di più sulle liste d’attesa, già di per sé gonfie e piene di ritardi: bastava una telefonata al cellulare per chiedere le disponibilità e che tipo di ricetta servisse per accedere alla visita o all’esame desiderato. E nell’attesa che arrivasse la ricetta corretta, lo slot veniva riservato inserendo nominativi e dati di persone morte da anni o con ricette o codici fiscali falsi, successivamente sostituiti con i pazienti che avrebbero poi realmente usufruito della prestazione. L’indagine dei baschi verdi nasce da un esposto presentato dall’azienda ospedaliera dopo che dalla direzione erano state rilevate numerose anomalie nelle operazioni di prenotazione presso il Cup. A far alzare il livello d’allerta, sarebbero state matrici e codici non reali collegati alle così dette ricette rosse (quelle non telematiche), cui sono seguiti spesso annullamenti e riassegnazioni degli appuntamenti ad altre persone. Anomalie segnalate all’azienda ospedaliera anche da Gpi, società che fa da collettore con il circuito Pagopa (il sistema di pagamento messo a disposizione dalla pubblica amministrazione), che non avrebbe ricevuto le informazioni anagrafiche di alcuni pazienti fondamentali per la registrazione sul sistema degli incassi e delle prenotazioni avvenute. Gli investigatori, inoltre, avrebbero ipotizzato che gli otto potrebbero essere stati in possesso di una sorta di elenco con i dati delle persone defunte (molti dei nomi si sarebbero ripetuti nel tempo) da cui attingere. Nel tempo, il sistema sembra essersi collaudato sempre più: l’operatore riceveva la telefonata, spulciava tra le possibilità e quando trovava la data più congeniale per l’amico o il parente, la bloccava con una prenotazione fittizia, dando istruzioni su che tipo di ricetta servisse (se urgente, breve e così via) e quando tutto era pronto si compiva la magia.