L'inchiesta sul mandamento di Uditore-Passo di Rigano: «Clan debole per gli scappati negli Usa»
Giovanni Buscemi, 66 anni, arrestato nel blitz della Squadra mobile assieme al fratello Girolamo, detto «mummino», attribuiva a Tommaso Inzerillo la responsabilità della situazione critica in cui versava il mandamento di Passo di Rigano di cui era diventato il capo indiscusso. Inzerillo, arrestato nel 2019, era ritenuto un elemento che aveva contribuito all'indebolimento del clan. E ne discuteva con Franco Bonura che invece riteneva che il vero colpevole fosse Salvatore Lo Piccolo, reo di aver favorito il rientro degli scappati in America, tra cui proprio gli Inzerillo, nei primi anni duemila. Anche l’anziano costruttore è finito in manette nell’operazione della Direzione distrettuale antimafia che ha fermato il tentativo dei vecchi «padrini» scarcerati (Bonura appunto, 81 anni; Girolamo Buscemi, 72 anni, al vertice di Passo di Rigano e Agostino Sansone, 76 anni, considerato il numero uno della famiglia dell’Uditore) di ritornare al comando di Cosa nostra palermitana. Le intercettazioni captate dalle forze dell'ordine avevano rivelato il livello di rancore maturato all'interno della cosca. «Che schifo! Tutte queste cose le ha fatte succedere lui», spiegava« Buscemi riferendosi proprio a Inzerillo e Bonura aveva rincarato la dose («E anche il signor Lo Piccolo») puntando il dito contro un altro pezzo da novanta. Nessun problema, invece, per Settimo Mineo, altro boss di vecchia data che reggeva le sorti della famiglia di Pagliarelli. Per Bonura, infatti, era uno affidabile: «Ma Mineo dovrebbe essere una persona un poco seria», era stata la sua «benedizione» durante il confronto con il più giovane dei due fratelli Buscemi. Ma, nelle carte dell’inchiesta, l’astio che covava tra gli affiliati, traspare in maniera evidente anche se il settantaduenne Buscemi aveva cercato di marcare una certa discontinuità rispetto alla precedente gestione criminale: «Emergeva altresì l'esistenza di una comune visione tra gli odierni indagati Giovanni Buscemi e Francesco Bonura - si legge nell’ordinanza - allorché si mostravano concordi nell'attribuire all’ ergastolano Lo Piccolo la responsabilità di avere a suo tempo sostenuto il reingresso in Cosa Nostra degli Inzerillo e degli altri sodali rifugiatisi negli Stati Uniti». La storia degli scappati ha origine negli anni Ottanta, quando gli Inzerillo, alleati degli Spatola e dei Gambino, furono costretti a rifugiarsi oltre oceano per sfuggire alla mattanza scatenata dai corleonesi di Totò Riina. Per decenni rimasero nel loro «ritiro» americano fino a quando cominciarono i primi approcci per riportarli in città. La questione venne affrontata persino nei messaggi cifrati: un pizzino trovato nel rifugio di Bernardo Provenzano a Montagna dei Cavalli aveva testimoniato il tentativo di Lo Piccolo di ottenere il via libera per consentire agli esiliati di fare il viaggio inverso. Tuttavia, il progetto trovò l'opposizione di Nino Rotolo del mandamento dei Pagliarelli, di Nino Cinà (San Lorenzo) e proprio di Bonura mentre Provenzano mantenne una posizione neutrale. Solo gli arresti in successione dello stesso Provenzano nel 2006, seguiti da quelli di Rotolo, Cinà e Bonura nell'operazione Gotha, e infine di Lo Piccolo nel 2007, aprirono la strada al rientro definitivo degli Inzerillo.