In questa mattina livida che non vuole volare via, di fronte a un luogo annientato dalle ruspe di un cantiere senza pace, un drappello di residenti si dà appuntamento di fronte ai cancelli chiusi. L’ennesimo rebus geologico che si fa beffe di una grande impresa come Rfi pesa come un macigno sull’immagine di chi non riesce a completare la mega opera che nelle intenzioni dovrebbe cambiare il volto della città. Trentasette chilometri di doppio binario, la gran parte interrato, da Roccella fino a Punta Raisi; 20 chilometri in territorio cittadino con 17 stazioni intermedie e 10 fermate di nuova realizzazione perfettamente in funzione darebbe un altro volto alla città; un miliardo e 200 milioni di fondi impiegati. Eppure... Tutto è appeso a un microscopio diaframma di meno di trenta metri su cui dal 2012 ci si arrovella e si spendono milioni a decine perché non si capisce bene come poterlo trasformare in galleria fermando al contempo la potenza della falda acquifera presente sottoterra. Lo chiamano «imprevisto geologico», locuzione che a questo punto rischia di diventare un po’ comica. Perché questa è la quinta volta che i lavori si interrompono che bisogna predisporre una variante, chiedere più soldi e intervenire nuovamente. Un servizio completo di Giancarlo Macaluso sull'edizione di Palermo del Giornale di Sicilia in edicola oggi