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Palermo, l'inchiesta del padre morto suicida, i messaggi della figlia: «Sono incinta, posso abortire per i dispiaceri»

«Ho avuto modo di parlare con il mio assistito, l’ho trovato un ragazzo normale, il classico studente, composto nel parlare, forse con una personalità fragile. L'ho trovato un po’ depresso e profondamente dispiaciuto per quello che è successo», spiega l’avvocato Salvatore Ferrante che è da poco subentrato nella difesa del ragazzo accusato, assieme alla fidanzatina assistita invece dall’avvocato Rosamaria Salemi, di avere spinto al suicidio il papà di quest’ultima a causa delle continue richieste di denaro condite da botte e minacce.

«Va precisato che entrambi rispondono di morte come conseguenza non voluta di altro reato. Secondo la Procura dei minori, in qualche modo, ci sarebbe una connessione tra l'estorsione e il suicidio ma è un’imputazione che andrà vagliata con grande attenzione. In ogni caso questa vicenda è andata ben oltre quelle che erano le intenzioni dei ragazzi: probabilmente si era creato un astio perché il padre non voleva che vivessero insieme».
Per l’avvocato Ferrante alcuni dialoghi contenuti negli atti dell’inchiesta dimostrerebbero che, da parte della coppia, non c’era alcuna volontà di costringere G. M. a togliersi la vita. Come questo dialogo del 20 marzo del 2024 in cui la minore chiedeva ulteriori elargizioni al padre che le aveva ribadito di essere disperato e pieno di debiti: «Non voglio più vivere così, non ha senso più nulla», aveva detto.

Proprio la risposta della ragazzina - secondo il legale - dimostrebbe che era in corso un aspro conflitto familiare e che non c’era istigazione al suicidio. «Addirittura per 100 euro ti ammazzi? Ti rendi conto le cose che dici? E io sono incinta e devo sentirmi dire queste cose che mi può venire il dispiacere fino ad abortire. Non è che sei trattato come un mostro, tu sei trattato come ti meriti». E poi aveva proseguito: «Mentre sono incinta non devo avere questi dispiaceri e manco dopo che partorisco, visto che se ti odiassi non ti direi queste cose. Io non ti odio. Sì, ma a prescindere, se tu muori, visto che mi hai detto questo, è sempre un dispiacere troppo grande e rischio di perdere il bambino. Morendo tu fai morire pure a tuo nipote e vuoi questo? Vuoi fare questo a un bambino? A tuo nipote?», scriveva la allora quattordicenne.

G. M. però aveva replicato in maniera amara: «Non voglio passare tutta la vita a essere succube e a far vivere un ragazzino come un pezzente e vedere che i miei figli che sono ormai perfetti estranei, devastazione in casa mia, non avere più denaro, non potere pagare le cose. Cosa è rimasto? Nulla».

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