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Palermo, il papà suicida aveva scritto delle lettere alla figlia sedicenne: «Mi hai distrutto»

L’inchiesta sui due fidanzatini terribili anticipata dal nostro giornale: le accuse dell’uomo morto suicida alla ragazzina già madre di un bimbo e ora in comunità

La sede del tribunale per i minori di Palermo

G.M. ha lasciato due lettere e un testamento prima di impiccarsi nella sua abitazione, il 21 marzo dell’anno scorso. Da quei fogli emergerebbe il grido disperato contro la pressione psicologica e le richieste economiche della figlia, quattordicenne all’epoca dei fatti e ora quindicenne e già mamma (compirà 16 anni a giugno), sostenuta dal fidanzato diciassettenne, lui oggi maggiorenne: lei si trova in una comunità a Catania, mentre il neodiciottenne è detenuto al Malaspina.

La storia, terribile e anticipata ieri in esclusiva dal Giornale di Sicilia, vede una ragazzina, poco più che bambina, e il fidanzatino, figlio di un pregiudicato, accusati di estorsione aggravata e di avere sostanzialmente indotto l’uomo al suicidio (la contestazione è di morte come conseguenza di un altro reato e cioè anche per via delle minacce, delle vessazioni e dello stalking di cui fu vittima l’uomo). Il piano premeditato sarebbe stato quello di ottenere denaro dal padre della giovane, sfruttando il legame affettivo e facendo leva sulle sue fragilità. Al centro di questo dramma, i cinquemila euro dell'eredità della mamma - morta tre anni prima - che la ragazzina pretendeva da G. M. usando qualsiasi mezzo, anche la violenza, per ottenerli. Il papà, disoccupato, aveva trasferito la famiglia in provincia di Latina per lavorare: lì si era legato a un’altra donna, legame rifiutato dalla figlia, che voleva tornare in città, dal suo fidanzatino. E alla fine G.M. aveva ceduto, tornando senza lavoro al Villaggio Santa Rosalia.

L’uomo, infatti, nel corso di uno dei tanti litigi, sarebbe finito in ospedale, così come pure il figlio più grande si era preso uno schiaffo dal fidanzato della sorella per cercare di difendere il padre. Ma a preoccupare G. M. erano anche i familiari del diciassettenne con cui viveva la figlia: il papà di quest’ultimo, infatti, era in carcere per fatti legati alla criminalità organizzata. Ma a puntare il dito contro l’allora quattordicenne era stato proprio il padre in due documenti manoscritti ritrovati nella stanza in cui il figlio maggiore l’aveva trovato appeso a una corda. «Mi hai estorto non solo i tuoi soldi ma anche quelli dei tuoi fratelli. Sei una brava manipolatrice, tu e il tuo fidanzato, mi hai distrutto in tutte le maniere. Vorrei sapere, ma ormai è tardi, cosa hai ottenuto. Estorcermi migliaia di euro, farmi gonfiare di botte, distruggermi la macchina, sputato, deriso, visto io come un mostro che non sono. Te la devi vedere con Dio e portarti per tutta la vita questo fardello, la mia morte e la distruzione della tua famiglia. Credimi, scrivo con tanto dolore dentro», è una parte del testo indirizzato alla figlia che continuava con i riferimenti alla gravidanza di quest’ultima. «Ti ringrazio di tutto, anche di non avermi fatto conoscere mio nipote - proseguiva l’ultima lettera del padre -. Vorrei perdonarti ma non ci riesco, non rabbia ma disprezzo, lo stesso disprezzo che hai per me. Grazie di avermi distrutto».

Nei messaggi inviati a G. M., infatti, la giovane rivelava la sua gravidanza, legando spesso le sue richieste di soldi a presunte necessità legate alla futura nascita. «Se succede qualcosa al bambino che porto in grembo, sarà colpa tua», scriveva arrivando persino a minacciare: «Se non mi dai i soldi, io e il bambino moriremo» aggiungendo ulteriori richieste come quella di organizzare un baby shower (una festa in cui i genitori ricevono i regali per i nascituri, ndr) o di acquistare beni ritenuti indispensabili. G.M., già logorato dalle difficoltà economiche, cercava di resistere ma si trovava a fronteggiare un senso crescente di impotenza. E lo aveva fatto presente in un’altra lettera, questa volta lasciata come testamento morale ai tre figli maschi: «È da quando siamo tornati a Palermo che sono tormentato, ricattato e manipolato da tua sorella. Tutto il male che tua sorella vi ha arrecato anche a voi, non mi sono mai approfittato dei vostri soldi. Whatsapp parla chiaro dove sono finiti i soldi. Sotto continue minacce, sono troppo stanco di vivere e non riesco ad andare avanti così. Vi potrò sembrare codardo ma non è così, è una liberazione la morte a cui sono costretto ad andare incontro».

Le ultime riflessioni proseguivano con un’amara constatazione, quella di essere denunciato per abusi sessuali se non avesse assecondato le richieste estorsive della coppia. «Mi si accusa pure di violenza - scriveva ancora G. M. ai tre figli maschi - per cui che devo vivere a fare? Non sopporterei anche questa vergogna. Perché sono innocente ma nessuno mi crederebbe. Ha fatto tutto per distruggere e distruggersi. Che Dio ti possa perdonare, a te e al tuo compagno. Mi hai reso in questi mesi la vita impossibile. Ora vedi a chi devi estorcere soldi, raccontare bugie su di me solo perché mi odi. Sei arrivata dove volevi, alla mia morte, se meritavo questo, sia fatta la volontà di Dio».

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