Palermo, donna di 76 anni muore all'ospedale Ingrassia. I familiari: «L'hanno tenuta su una barella per 8 giorni»
«Hanno lasciato mia madre su una barella del pronto soccorso dell’ospedale Ingrassia dal 10 dicembre al 18 dicembre. Solo il 19 è stata trasferita a Medicina Generale, quando stava già malissimo e potrebbe avere contratto un’infezione in ospedale. Ma ormai era troppo tardi. Il 20 dicembre è morta». Romina Gelardi ha presentato una denuncia per la morte della madre di 76 anni, Maria Ruggia, originaria di Menfi, paziente oncologica e con un pacemaker per regolare i battiti cardiaci. «Nel corso del ricovero non sono state considerate le condizioni cliniche di mia madre, cardiopatica, con cardiopatia ischemica, carcinoma mammario e diabete mellito di tipo II – ha detto la figlia – ed è stata ricoverata con sintomi di protratta inappetenza e nausea persistente. Mia madre è stata tenuta al pronto soccorso senza somministrarle l'adeguata terapia antibiotica preventiva in un paziente oncologico affetto da cardiopatie gravi in età avanzata, portatore di pacemaker esponendo la stessa a un ambiente sanitario non idoneo alla diagnosi». Secondo la signora Gelardi i medici non avrebbero visto «i più che evidenti segni di sepsi, tra cui la protratta assenza di stimolo ad urinare. Non ci è stato consentito di assistere nostra madre. Ogni giorno telefonavamo e ci dicevano che attendevano che si liberasse un posto in reparto. Poi quando il posto è stato disponibile, una dottoressa - prosegue - ci ha detto che le sue condizioni erano molto gravi: 24 dopo è arrivata la telefonata che era morta. Noi vogliamo giustizia. È bene che chi ha parenti ricoverati in ospedale sappia cosa succede. Per questo abbiamo presentato la denuncia». Assistita dall’avvocato Andrea Dell’Aira, Gelardi ha chiesto alla Procura di accertare le responsabilità. La polizia ha sequestrato le cartelle cliniche e la salma che sarà portata all’istituto di medicina legale per l’autopsia. Intanto la direzione aziendale dell’Asp di Palermo «ha avviato un’indagine interna al fine di verificare eventuali profili di responsabilità sulla gestione dell’assistenza e del ricovero della donna di 76 anni arrivata all’ospedale Ingrassia in gravi condizioni di salute e con un complesso quadro clinico». L’azienda sanitaria ha sottolineato che «si verificherà anche il rispetto delle procedure e dei protocolli al pronto soccorso dell’Ingrassia che ha fatto registrare nei giorni scorsi uno straordinario afflusso di pazienti». «L'azienda assicura il massimo rigore nell’indagine che riguarda l’intero sistema dell’emergenza-urgenza. Le dichiarazione della figlia sullo stato di abbandono - conclude la nota - saranno immediatamente verificate analizzando e valutando proprio ciò che risulta nella cartella clinica». «Una paziente, ancor di più fragile, non dovrebbe stare 10 giorni in barella al pronto soccorso prima di essere trasferito in un reparto o in una clinica. E invece Maria ha vissuto gli ultimi giorni della sua vita nelle stesse condizioni in cui sono costretti a stare i siciliani che hanno la sfortuna di finire in un pronto soccorso. Lo abbiamo documentato con le foto, lo abbiamo testimoniato con i nostri blitz nei pronto soccorso siciliani, abbiamo chiesto interventi urgenti, ma nulla è cambiato, se non in peggio», è il commento sui social del capogruppo di Italia Viva alla Camera, Davide Faraone. «Sono sconvolta dalla notizia che arriva da Palermo, dove una donna nei giorni scorsi ha tragicamente perso la vita all’interno dell’ospedale Ingrassia, dopo essere stata tenuta per otto lunghi giorni su una barella del pronto soccorso. La figlia della donna, alla quale va il mio più sentito cordoglio, ha denunciato i fatti alla Procura e si attende il lavoro degli inquirenti. Non possiamo però non notare come questo genere di episodi sia purtroppo sempre più frequente, soprattutto nei pronto soccorso delle grandi città, dove l’affluenza è maggiore», scrive in una nota Daniela Morfino, deputato palermitano del Movimento 5 Stelle mentre il vice capogruppo del M5S all'Ars, Roberta Schillaci, ha sottolineato che «ciò accade a Palermo, come accade spesso nel Sud, mentre qualcuno rivendica ancora quell’autonomia differenziata che sarebbe la pietra tombale sul servizio sanitario universale, lasciando la Sicilia e il meridione senza un numero adeguato di sanitari. Dispiace che in Sicilia ci sia ancora qualche scudiero di Calderoli».