Palermo, la sparatoria in via La Lumia: sette anni al «pistolero», condannati pure due complici
Marco Cucina, il «pistolero» di via Isidoro La Lumia, è stato condannato a 7 anni e 4 mesi di reclusione al termine di un processo in abbreviato (quindi con lo sconto di pena di un terzo) che ha ricostruito i fatti accaduti nella notte del 10 dicembre dell’anno scorso. Quella che era cominciata come una rissa si era conclusa con gli avventori della movida che fuggivano terrorizzati per i sei colpi di pistola sparati in aria. Ora la sentenza, arrivata due giorni dopo la condanna a 12 anni di carcere per Matteo Orlando, il giovane - oggi diciottenne - accusato di avere ucciso, pochi giorni dopo, esattamente un anno fa (il 21 dicembre) Lino Celesia, ex calciatore di 22 anni, con due colpi di pistola, al culmine di una rissa alla discoteca Notr3 di via Pasquale Calvi. Le due vicende, avvenute a meno di due settimane di distanza, avevano scosso profondamente la città. Il giudice Antonella Consiglio ha accolto le proposte della Procura per Cucina, difeso dall’avvocato Riccardo Bellotta, e per Salvatore Emanuele, che era rappresentato dall’avvocato Stefania Rubino, sono stati inflitti 3 anni e 6 mesi mentre a Salvatore Miceli (anche lui assistito dall’avvocato Bellotta) sono toccati 2 anni, con un lieve scostamento rispetto ai 2 e 4 mesi invocati dal pubblico ministero Giulia Beux. Erano tutti accusati di rissa aggravata, a Cucina è stato contestato anche il porto abusivo in pubblico di arma da fuoco illegalmente detenuta. L’avvocato Bellotta aveva tentato di ottenere una riqualificazione del reato invocando l’articolo 703 del codice penale, che punisce l’uso improprio di armi in pubblico, anziché il più severo articolo 421 bis introdotto dal decreto Caivano, ma la richiesta è stata respinta. Le indagini erano partite da un video amatoriale ripreso da un balcone, in cui si vedeva chiaramente Cucina impugnare un’arma corta (si scoprirà poi che era una Luger calibro 9) e fare fuoco in due distinti momenti: un primo colpo in via Quintino Sella, nei pressi del locale Bonsignore, e altri cinque colpi in via La Lumia, davanti al cocktail bar Pitto. I carabinieri avevano anche rinvenuto a terra i bossoli, ricostruendo la dinamica attraverso le immagini delle telecamere di sorveglianza e le testimonianze raccolte sul posto. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, la rissa era scoppiata poco dopo le tre di notte in via Quintino Sella, coinvolgendo due gruppi composti da una decina di giovani. Tra i partecipanti più attivi, le immagini avevano immortalato Salvatore Emanuele, che, robusto e con la barba, indossava una maglia bianca a maniche corte e una giacca scura legata in vita. Nel video si vede Emanuele mentre afferrava un giovane per la maglietta e gli dava un pugno, continuando poi ad aggredire altri ragazzi anche quando erano a terra. Anche Miceli era stato identificato grazie all’abbigliamento e alla corporatura: nelle immagini indossava una maglia nera con un logo bianco. Gli scontri più violenti si erano quindi spostati all’incrocio tra via La Lumia e via Quintino Sella, dove un ragazzo era stato ferito con 4 o 5 pugni e trascinato verso piazza Nascè. Cucina era stato ripreso mentre rincorreva un coetaneo centrandolo con un calcio e poi era stato inquadrato mentre impugnava l’arma e faceva fuoco in aria, tra le urla e il fuggi fuggi generale. Arrivato su un scooter guidato da un amico, con lo stesso mezzo, così si evince da numerosi video, era fuggito per ritornare allo Sperone dopo la sparatoria. Il 13 dicembre, tre giorni dopo il Far west che era scoppiato in una delle strade del centro storico più frequentate dal popolo della notte, i carabinieri si erano recati in via Spoto, a Brancaccio, per cercare Cucina e Salvatore Emanuele. Alla vista delle forze dell’ordine, i due erano fuggiti: Cucina aveva scavalcato un cancello e si era nascosto sui tetti di alcune abitazioni e capannoni, riuscendo a far perdere le proprie tracce. L’unico fermato sul momento era stato Salvatore Miceli, inizialmente non identificato come uno dei partecipanti agli scontri, che era stato fermato perché aveva opposto resistenza. Cucina, pregiudicato trentenne con numerosi precedenti penali, tra cui una condanna per evasione, era riuscito a rendersi irreperibile per due mesi. Tuttavia, alla fine, era stato arrestato dai carabinieri della compagnia di piazza Verdi e rinchiuso nel carcere di Pagliarelli, dove si trova tuttora. Emanuele, 27 anni, era finito ai domiciliari, mentre per Miceli, 21 anni e incensurato, era stato disposto l’obbligo di dimora e la presentazione giornaliera in caserma. Oltre che dalle misure cautelari, i tre imputati erano stati colpiti anche dai provvedimenti amministrativi emessi dal questore: era stato cioè disposto il Daspo urbano che vieta loro di transitare o stazionare nelle zone della movida per tre anni. Per Cucina e Emanuele, inoltre, il divieto era stato esteso a tutti i locali di pubblico intrattenimento della provincia