Soldi facili e business milionari grazie a un sistema di relazioni mafiose, basta far parte del giro giusto e avere un po’ di cervello per farsi una posizione pur non avendo competenza nel mondo imprenditoriale. I guadagni da favola di Toni Lo Manto, passati ai raggi X dagli investigatori della polizia e della guardia di finanza nell'ambito dell'inchiesta della Procura europea sulle «frodi carosello», con un'evasione di imposte per più di un miliardo di euro, sembrano il frutto di un’opera di mediazione più che di un impegno da esperto di finanza.
Nelle pagine dell'inchiesta sfociata nell'operazione Moby Dick, con duecento indagati in mezza Europa, è lo stesso Lo Manto, palermitano della Kalsa, cresciuto a pane e Cosa nostra, a delineare, nelle intercettazioni messe agli atti dal giudice, il suo ruolo di «promotore e agevolatore di contatti e quale risolutore di conflitti, tenendo però a rimarcare come la sua effettiva capacità risiedeva nel riuscire a guadagnare soldi senza fare nulla di concreto, limitandosi a intessere pubbliche relazioni ad alti livelli e a intervenire per arginare situazioni conflittuali dagli effetti potenzialmente dirompenti».
Lo dice apertamente lo stesso Antonio Lo Manto, in un colloquio captato dalle microspie: «Io faccio pubbliche relazioni ad alti livelli. Lo riconosco, io non sono uno... io sinceramente sono tutto tranne che un imprenditore, perché non lo so fare... Faccio soldi non facendo un c... Io già ci guadagno in questa storia una percentuale dello zero cinquanta al mese senza avere fatto niente... solo per avere messo la mia garanzia personale». Numeri che, visti gli affari milionari al centro delle indagini, fanno immaginare provvigioni di decine di migliaia di euro.
Un lavoro portato avanti con l’obiettivo di mettere insieme gruppi criminali di diverse regioni e fare diventare soci, dopo avere risolto i contrasti, personaggi che un tempo avrebbero potuto farsi la guerra. Lo Manto racconta di essere riuscito a fare trovare un’intesa «a due persone che si dovevano semplicemente sparare. Sono riuscito a sistemare tutta la questione, a fargli fare pace a tutti quanti, facendogli chiedere pure scusa all’amico mio. Quando sei nel mondo dell'elettronica a questi livelli... ti faccio un esempio: un milione di euro di merce. Mi chiami e mi dici “io ho questa merce, a chi la possiamo vendere?” Io ti trovo il compratore. L’acquirente non ti paga subito. Prima deve arrivare in deposito, poi deve arrivare in logistica, poi deve fare il giro».
Toni Lo Manto, orfano del padre dal '93, perché inghiottito dalla lupara bianca, fu cresciuto come un figlio dal boss (stragista) di Brancaccio Lorenzo Tinnirello: ora dimostra di conoscere bene la storia di Cosa nostra e non lesina giudizi sull’epoca dell'avanzata corleonese sulla città. In una intercettazione dell’ottobre 2021 durante un incontro con personaggi napoletani, esprime giudizi negativi sui capimafia di quel sanguinario gruppo, ad eccezione di Bernardo Provenzano, che avrebbe portato avanti la cosiddetta strategia della sommersione, privilegiando gli affari agli episodi cruenti. E racconta di aver presentato agli esponenti del clan campano Nuvoletta Leandro Greco, nipote del boss Michele detto il Papa, dicendo che quest’ultimo, ai tempi, si sarebbe reso protagonista di un comportamento non proprio ortodosso. Idem, ai giorni nostri, il nipote.
«Non ho una grande reputazione di Totò Riina e Bagarella. Su Provenzano ti dico di sì, era diverso. Michele Greco non lo stimo per niente, la sua politica a me non potrebbe mai piacere. Con l’infamia uno dei due moriva. È stato quello che ha tradito di più. E suo nipote, che all’epoca aveva diciott’anni, quando è venuto a sapere l’amicizia che avevo con i napoletani, ha fatto di tutto affinché io glieli presentassi. Allora io prima parlai con loro e mi dissero: “Va bene, non c’è problema”, perché la storia... il nonno, il padre, lo zio. Con un mio amico lo abbiamo portato per le mani, li abbiamo portati a casa loro. Li ho fatti conoscere, ma ha voluto parlare solo con loro. E già questa cosa a me mi ha fatto impazzire! Quelli mi guardavano, come dire: “Che dobbiamo fare?”. Questa è una cosa che non si fa e poi loro me lo hanno detto: “Ci ha detto che qualsiasi cosa ormai non c’era più bisogno di me”. Mi aveva praticamente scavalcato. Io gli ho detto: “Ragazzi, ve l’ho portato, gestitevelo voi, non m’interessa proprio”».
Secondo il racconto di Lo Manto, Leandro Greco si sarebbe reso responsabile della sottrazione di 50 mila euro su un affare di droga con i Nuvoletta. E anche in questa occasione Lo Manto avrebbe mediato convincendo uno zio del giovane a prestare garanzia personale per la chiusura della questione, evitando violente ripercussioni ai danni del giovane nipote. «Un giorno mi chiamano i Nuvoletta e mi dicono di avere “un problema con quello là sotto”. Il problema arrivava prima o poi, me lo immaginavo, visto come si è comportato con me. Hanno fatto un business, si è fottuto cinquantamila euro e non glieli vuole più ridare. Sono intervenuto per mediare la faccenda. Così, si è preso la responsabilità lo zio».
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