«L’irregolarità delle gare non può in alcun modo essere messa in dubbio» tanto da essere «del tutto evidente la responsabilità degli imputati». Ma nelle motivazioni della sentenza sul processo «Sorella sanità», depositate dalla prima sezione della Corte di appello, si va ben oltre la semplice spiegazione di un patto corruttivo tra dirigenti, imprenditori e faccendieri che si muovevano come squali in un ambiente infarcito di tangenti, per dividersi gli appalti milionari della Regione in ambito sanitario. Lo spaccato di malaffare e arricchimenti, drenando le risorse pubbliche, che viene fuori dalle oltre novecento pagine di ricostruzione, elaborate dal collegio presieduto da Adriana Piras, è veramente sconfortante. Il relatore Mario Conte ha analizzato punto per punto ogni singolo passaggio di un complicatissimo sistema che aveva solo un unico scopo: portare avanti atti contrari ai doveri di ufficio, in altre parole e in sintesi, farsi i fatti propri utilizzando i soldi della pubblica amministrazione. «Un inquietante scenario - si legge nelle motivazioni di appello - in cui alti dirigenti dell’Asp, incaricati di gestire appalti multimilionari, dispongono delle proprie funzioni, abusandone, al fine di ricattarsi vicendevolmente, trattando le relative procedure (anche legali e di controllo) in maniera personalistica ed apparentemente in totale dispregio degli interessi pubblici che invece dovrebbero perseguire». Un servizio completo di Fabio Geraci sull'edizione di Palermo del Giornale di Sicilia in edicola oggi