«Non sono la sacerdotessa del male», si difende così Sabrina Fina che, tramite il suo avvocato Franco Critelli Janfer, ha scritto direttamente al Giornale di Sicilia per gridare la sua innocenza. Giura di non avere nulla a che fare con la strage avvenuta lo scorso febbraio all'interno della villetta di Altavilla Milicia e con gli omicidi di Antonella Salamone e dei figli Kevin e Emanuel di 16 e 5 anni. Crimini atroci per i quali, oltre a lei e al compagno Massimo Carandente, sono accusati Giovanni Barreca e la figlia oggi diciottenne (ma minorenne all’epoca dei fatti). La giovane, unica sopravvissuta alla carneficina, ha sempre puntato il dito contro la coppia, sostenendo che sarebbero stati Fina e Carandente a istigare sia lei sia il padre ad accanirsi contro la mamma e i fratelli. Sabrina, invece, rifiuta decisamente tutti gli addebiti che le sono stati rivolti, si dice «addolorata e sotto shock per la funesta storia» oltre a essere «estranea ai fatti e innocente» nonché «amareggiata dalla gogna mediatica». Soprattutto ritiene «ingiusto» e «ricolmo di pregiudizio» l'appellativo di ispiratrice delle violenze con la quale viene identificata. «Non sono la sacerdotessa del male, un epiteto che non mi appartiene per la mia indole pacifica - replica dal carcere di Pagliarelli, sempre attraverso l’avvocato Critelli -. Ribadisco e respingo categoricamente l’accusa di aver partecipato agli omicidi sia moralmente che materialmente. Io ho solo subito passivamente, come connivenza passiva, come dimostrerò nelle opportune e competenti sedi giudiziarie dove si svolgono i veri processi». Insomma, tra Fina, Carandente e Barreca è ormai guerra aperta per cercare di sminuire le proprie responsabilità: quest'ultimo, anche se in preda al delirio mistico, ha fatto intuire di essere stato manipolato da loro per convincerlo a sterminare la famiglia. Una ricostruzione anche questa sconfessata dalla donna: «Non ho la statura di un santone - prosegue la lettera - né sono una plagiatrice, mi sono recata sul posto solo all’esclusivo scopo di dare supporto con le preghiere». I due «fratelli di Dio» - sarebbe questa la loro verità – non hanno negato di essere stati ospiti nell'abitazione di Barreca per circa una settimana ma hanno spiegato di essere andati per placare con la preghiera gli animi molto accesi del nucleo familiare. Ai magistrati, però, dovranno chiarire perché non hanno avvisato i soccorsi dopo il massacro, quando erano da soli e stavano tornando in treno dalla stazione di Altavilla fino in città. Anche nelle dichiarazioni spontanee, rilasciate a luglio davanti ai magistrati di Termini Imerese e al procuratore dei minori, i due indagati avevano ribadito la loro versione ribaltando tutto su Barreca. «Non sono una persona manipolatrice, violenta, anaffettiva e palesemente concentrata su demoni, ma sono solo una mamma chioccia e ho un bellissimo rapporto con il mio ex marito e mia figlia - aveva spiegato la donna agli inquirenti-. I fatti sono stati commessi da Giovanni Barreca che ha manipolato il figlio sedicenne Kevin. Io e mio marito abbiamo solo cercato di impedire queste azioni terribili, cercando di proteggere i due ragazzi ma ci è stato impedito con minacce e chiudendoci dentro casa. Siamo stati chiusi in soggiorno e Barreca ha messo davanti alla porta un tavolo cosicché non ci era possibile far nulla: questa linea difensiva la farò valere con il mio difensore nelle sedi opportune con i necessari approfondimenti di diversi altri dettagli». Da parte sua, l'avvocato Critelli ha precisato che questa drammatica vicenda «merita assoluto rispetto per la memoria delle vittime e per i rispettivi familiari emotivamente coinvolti e scossi» invocando allo stesso tempo «il sacrosanto richiamato principio della presunzione di innocenza che ogni indagato e imputato merita come principio di civiltà».