«Open Arms non si è imbattuta casualmente nel barcone coi migranti né a indicare alla ong la barca coi profughi fu Alarm Phone. La verità è che ci fu una consegna concordata perché qualcuno ha dato indicazioni precise a Open Arms molto prima della segnalazione di Alarm Phone che, peraltro, non era corretta».
È cominciata così l’arringa difensiva dell’avvocato Giulia Bongiorno, legale di Matteo Salvini al processo che vede imputato a Palermo il vicepremier e leader della Lega per sequestro di persona e rifiuto di atti di ufficio. «Bighellonando bighellonando - ha detto Bongiorno - Open Arms incontra tantissime imbarcazioni, petroliere, aerei, persino Ocean Viking che le chiedono se ha bisogno di qualcosa: non hanno bisogno di nulla: sono in attesa. Loro dicono che bighellonava perché l’Italia non era stata chiara nel divieto».
«Tra il 9 e il 10 agosto 2019 Open Arms dice che c'è un’imbarcazione in distress», ma ha sottolineato la legale «l'imbarcazione era perfetta». Solo dopo, continua Bongiorno «improvvisamente si parla di falla, di tantissime forature, che quella barca era un colabrodo: Malta riconosce ovviamente la presenza di un pericolo, dicono a Open Arms che possono procedere e poi avrebbero fatto sbarcare i 39 migranti presi in questa situazione. Open Arms non dice nulla: Eco3 però dice che non c'è acqua in questa barca. Malta però - ha continuato Bongiorno - non viene avvisata, viene concluso il soccorso e quindi la motovedetta maltese si dirige verso Open Arms».
«Sul provvedimento del Tar è impossibile affermare che possa avere annullato completamente o in parte il decreto Salvini - ha aggiunto Bongiorno -. Il Tar dice che bisognava dare assistenza. Non mi dilungherò oltremodo e rimando alla memoria ma qui mi preme dire che in quel provvedimento, emesso in audito altera parte, l’Italia deve solo fornire assistenza, non si parla di un obbligo di sbarco».
Nelle settimane scorse l’accusa, al termine della requisitoria, ha chiesto la condanna a 6 anni di carcere per l’allora ministro dell’Interno Salvini. «Abbiamo documentato il viaggio di Open Arms - ha proseguito l'avvocato - perché a mio avviso per capire bene cosa succede dopo bisogna partire da cosa voleva Open Arms: è impossibile ipotizzare una competenza dell’Italia rispetto a questi eventi, in nessun momento li coordinavamo noi. Il 14 agosto il Tar gli ha permesso di entrare in acque territoriali, ma questo provvedimento non annulla né sospende il divieto di transito né boccia il provvedimento emesso: è impossibile affermare ciò, l’unico obiettivo del provvedimento era consentire l’ingresso nelle acque territoriali per favorirne temporaneamente l’assistenza in attesa delle discussioni successive. Lo stesso divieto prevedeva che il passaggio di Open Arms non si poteva ritenere non inoffensivo: l'Italia era chiamata solo a fornire assistenza, non si parlava di obbligo di sbarco».
E dunque, sostiene ancora l'avvocato Bongiorno, «nonostante l’Italia non avesse alcuna giurisdizione si è comunque ottemperato al provvedimento del Tar, facendo entrare la nave e continuando a prestare assistenza: da questo momento Open Arms non viene più gestita come le normali navi Ong, ma molto meglio - ha aggiunto -. Quella era una fase politica particolare, perché era in corso la caduta del governo Conte e c'era una grande attenzione a quanto stava avvenendo a Lampedusa, perché tutto era ritenuto collegato alla crisi dell’esecutivo: l’attenzione data a Open Arms è stata superiore ad altre navi sotto l’aspetto non della salute, ma dei diritti. Bisogna tenere conto soprattutto della linea politica di quel governo».
Caricamento commenti
Commenta la notizia