L’armonia tra gruppi criminali dello Sperone ha avuto un forte momento di tensione e i rapporti di collaborazione tra le famiglie Cordova e Chiovaro sono precipitati in seguito a un pestaggio. Una vicenda documentata dalle telecamere installate dai poliziotti, riusciti a riprendere le vari fasi del business, il fatto che i componenti delle fazioni di pusher andassero insieme a rifornirsi passando tra i sotterranei del grande complesso residenziale dei cancelli, si alternassero nei compiti di vedetta e di vendita delle dosi. A settembre del 2020 Emanuele Chiovaro viene picchiato da Fabio Cordova, Girolamo Fazio e Samuele Imparato. Una spedizione punitiva, come emerso da alcune intercettazioni, legata al fatto che, in base ad alcune voci circolate nel quartiere, il primo avrebbe accusato il cugino Fabio Cordova «di essere uno spione». In quei giorni movimentati vengono registrate forti tensioni tra le due articolazioni, salvo poi giungere alla soluzione della controversia e al ritorno alla piena operatività delle attività di spaccio. Agli atti dell’inchiesta ci sono una serie di telefonate per trovare una pacifica soluzione alla vicenda e a garantire la ripresa degli affari. Inizialmente uno dei gruppi si era spostato in un box diverso da quello usato anche come bettola ed erano stati modificati i nascondigli delle dosi. Uno dei fedelissimi del gruppo Cordova, secondo l’accusa, sarebbe stato Samuele Imparato, indicato come «uno dei più attivi supervisori delle operazioni di vendita e, soprattutto, pusher impegnato quotidianamente nelle cessioni degli stupefacenti. Imparato ha avuto anche il compito di reclutare altri spacciatori e ha svolto il compito di anello di congiunzione tra i vertici del gruppo e gli altri complici». In una telefonata, fatta assieme a Santo Cordova, al fornitore Girolamo Fazio, viene detto a chiare lettere: «Vieni, muovi, ho bisogne di te. Qualche trenta pezzi». «Sì, il tempo di vestirmi e scendo», risponde Fazio. Tra i vari compiti dei criminali, c’è anche quello del custode della merce. Come Daniele Amato, accusato di avere usato la sua casa come nascondiglio della droga e di essere il fornitore giornaliero delle dosi. La sua abitazione si trova al piano seminterrato del civico 32 di via Mariano Campo, proprio in corrispondenza della zona dei sotterranei, non visibile dalla strada, ed è raggiungibile attraverso un cancelletto in ferro di fronte il box-bettola 74, cioè la base operativa del gruppo. Già dai primi giorni di videoriprese, i poliziotti hanno visto che chi apriva il box e dava inizio all’attività di spaccio andava contestualmente anche ad aprire il catenaccio che assicurava il cancello in ferro di accesso al corridoio che conduce fin sotto l’abitazione di Amato. Grazie alle intercettazioni, è stato scoperto poi che quasi tutte le mattine Amato riceveva le telefonate di Fazio e Santo Cordova, i quali lo invitavano ad aprire la porta di casa per consegnargli lo stupefacente da detenere e da dare poi ai pusher durante la giornata. Un sistema rodato che gli investigatori hanno tenuto d’occhio a lungo, anche se in un’occasione i pusher si sono accorte di videocamere e microspie ed hanno spostato per un periodo la loro attività.